Il terzo anno
della Guerra di Liberazione sul fronte dell’Internamento fu ancora più
devastante e terribile dei precedenti tanto che si può parlare, per essere
aderenti alla realtà, di “inferno nell’inferno”. Nei quattro mesi e qualche
giorno di guerra, da gennaio a maggio 1945 emersero, con tinte ancora più
fosche, i caratteri negativi le caratteristiche di questo fronte. Le terribili
sofferenze dovute ai maltrattamenti alle pessime condizioni igienico-sanitarie,
alla fame, al freddo, allo scarso vestiario, e alle pessime condizioni dei
luoghi di lavoro, che si sommavano ad una situazione generale dovuta alla
guerra, che già di per se stessa, era insopportabile, si accentuarono
ulteriormente. Questo non solo in Germania e nei territori che ancora occupava,
ma anche in tutti i paesi ove vi erano italiani internati, compreso l’Estremo
Oriente, che ormai subivano il peso di sei anni di guerra.
Andando con
ordine, e collegandoci alla situazione dell’anno precedente, si può dire che,
sul versante degli aiuti provenienti dalla madre patria, la situazione
continuava ad essere insufficiente.
La Repubblica
Sociale Italiana, nel quadro della assistenza agli italiani in Germania, siano
essi civili volontari per lavoro, deportati o internati militari, o prigionieri
a qualsiasi titolo, era quasi impotente. Tutti gli italiani erano in balia
della volontà delle autorità locali e regionali, in particolare del personale
preposto ai campi di concentramento, del singolo tedesco armato. Tutti gli
italiani erano considerati “forza lavoro” e come tale dovevano essere trattati,
come degli “inferiori” al servizio del tedesco e dello sforzo bellico
nazionale.
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