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venerdì 22 aprile 2011

IL PROCESSO DI NORIMBERGA

I Processi ai Nazisti

Sessant’anni fa a Norimberga si concludeva il processo che vide il vertice nazista chiamato a rispondere dei suoi atti e dei suoi crimini. Per la prima volta nella storia, coloro che erano al vertice di uno Stato e attori di una guerra senza leggi e senza limiti, erano chiamati, nel quadro di garanzie processuali riconosciute, a dare conto delle loro decisioni; decisioni che in sei lunghi anni avevano procurato al loro popolo ed ai popoli europei indicibili sofferenze e lutti, oltre danni materiali immensi. Tenuto a Norimberga, la città tedesca culla della legalità apparente nazista ( Le famose “leggi di Norimberga” sulla quali si fondò fino al 1942 la giurisprudenza tedesca, travolta poi dalle decisioni della Conferenza di Wansee) questo processo rappresenta la pietra miliare nel Diritto Internazionale per chiamare, in qualche caso, a rispondere dei loro atti tutti i dittatori ed oppressori che si alternano in folla sulla scena di questo martoriato mondo. Ma non solo.
Con la dizione di “processo di Norimberga” intendiamo anche le azioni procedurali messe in atto dai vincitori della seconda guerra mondiale, oltre che del vertice anche dei maggiori esponenti della dirigenza tedesca. Sono una serie di processi che si svolsero dalla fine della guerra agli inizi degli anni cinquanta durante i quali si cercò di ripristinare un minimo di legalità di fronte alla violenza esercitata, oltre i canoni della accettata violenza bellica, dai tedeschi contro popolazioni nemiche i cui componenti non erano belligeranti. Questi processi si tennero non solo in Germania ma anche nei paesi già occupati dai nazisti, come URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Jugolsavia, ecc.
Parallelamente  a questi processi, che si svolsero in un arco temporale che va dal 1945 agli inizi degli anni cinquanta, si svolsero processi in seno all’ordinamento giudiziario della Germania Federale, per imputati minori.  Questa ultima categoria di processi si qualifica per il fatto che sono corti composte da Tedeschi che giudicano altri tedeschi, ovvero viene meno la composizione internazionale e straniera dell’organi giudicante.

Dopo il processo Eichmann svoltesi nel 1961, che rappresenta uno spartiacque fra i processi di Norimberga e la residuale azione processuale nei confronti di coloro che per vari motivi si sottrassero al giudizio, si svolsero dagli anni ottanta in poi alcuni processi contro responsabili nazisti di crimini oggetto di imputazione a Norimberga, più per una questione di principio e di coerenza che di reale giustizia. Qui si tenta di tracciare un quadro generale di questi avvenimenti, come premessa introduttiva al problema della punibilità o meno di comportamenti non accettai in guerra o in situazioni conflittuali estreme.


Gli Alleati iniziarono a pensare sui trattamenti da riservare ai nemici dell’Asse già nell’autunno del 1943. Inizialmente si pensò di sottoporre i responsabili ad un “consiglio militare di guerra”; poi, acquisti ulteriori dati, si decise di sottoporli a regolare processo.

Alla conferenza di Londra dell’estate del 1945 si prese in esame tre categorie di “crimini”: la prima “crimini contro la pace”, tesi sostenuta da americani ed inglesi, in cui si sottolinea che l’aggressione tedesca ha leso i diritti di tutto il mondo; la seconda “crimini contro la guerra”, tesi sostenuta da sovietici e francesi, in cui si inseriscono i maltrattamenti, le uccisioni, i lavori forzati, l’assassinio e le violenze sui prigionieri di guerra, l’esecuzione di ostaggi, le razzie, la distruzione ingiustificata di villaggi, non sostenuta da esigenze militari.

Nonostante tutti gli sforzi queste tesi non riuscivano ad includere quello che era il più grande problema del tappeto: l’Olocausto. Già la definizione di ebreo era un problema; se non si trovava una soluzione, il genocidio ebraico e le vessazioni subite dagli ebrei in Europa rimanevano fuori da ogni processo. Fu quindi necessario ricorre alla tesi di “crimini contro l’umanità, cioè lo sterminio, la deportazione e qualsiasi atto disumano commesso contro le popolazioni civili, prima e durante la guerra, fuori della violenza bellica, e le persecuzioni per motivi etnici, religiosi, politici, razziali, di sicurezza od occasionali.

I crimini contro l’umanità per poterli definire hanno bisogno di essere correlati alla tesi del “complotto” ordito per sostenere una aggressione o un crimine di guerra, altrimenti la mera definizione di “crimine contro l’umanità” rischia di esulare dalla prassi processuale. In altre parole si accetta il principio che i “crimini contro l’umanità” non possono essere perpetrati prima della guerra, ovvero a partire dal 1 settembre 1939.

Il Processo di Norimberga contro il vertice nazista.
Il 18 ottobre 1945 a Norimberga, scelta proprio in virtù del fatto che fu il palcoscenico dei riti nazionalsocialisti di rilievo, si  tenne la prima udienza di quello che poi nella dizione comune è passato alla storia come Processo di Norimberga. Principale imputato presente era Herman Goering; gli altri imputati erano, Rudolf Hess, Robert Ley, Julius Streicher, esponeti del partito nazista; Hjalmar Schacht, ministro dell’economia e presidente della Reichbank, Walter Funk, addeto alla arianizzazione del popolo tedesco e delle popolazioni dei territori occupati, Wilhelm Frick, ministro dell’Interno;, Joachin Ribbentropp, ministro degli esteri; Franz von Papen, vicecancelliere, Albert Speer e Fritz Sauckel, addetti allo sfruttamento della forza lavoro coatto; i militari impuati sono Wilhelm Keitel, capo del Comando Supremo delle Forze Armate e Alfred Jodl, del Comando Supremo delle Forze Armate, Erich Raeder, Capo della Marina, e Karl Doenitz, Comandante delle Forze Subacquee. A tutti questi si aggiungono cinque esponenti della burocrazia statale di vertice nei territori occupati: Baldur von Schirach, per l’Austria, Konstantin von Neurath, per il protettorato di Boemia e Moravia, Hans Frank per il Governatorato generale cioè la Polonia, Alfred Rosenberg, per i territori dell’Est e Arthur Seyss-Inquart, per i Paesi Bassi.
I principali impuati però sono assenti perché deceduti. Hitler, in primo luogo, suicidatosi il 30 aprile 1945, Himmler, suicidatosi il 23 maggio 1945, Heydrich, ucciso da patrioti cecoslovacchi a Praga nel 1942, e Muller, capo della Gestapo e martin Bormann, capo del partito eclissatosi al momento del crollo della Germania.

I capi di accusa sono: “cimini contro la pace”, “crimini di guerra”, “crimini cntro l’umanità”, nella accezione detta sopra.

Il dibattimento fa emergere schiaccianti prove documentali e testimoniali nei confronti di tutti i deputati, portate per lo più da loro collaboratori subordinati, oltre che da protagonisti oculari. La linea difensiva adotta è semplice: si dichiarono “non a conoscenza dei crimini commessi contro chiunque, ebrei compresi; se qualcuno di loro vi ha partecipato lo ha fatto senza rendersene conto. In pratica hanno solo ubbidito agli ordini, emanati da uno solo, Hitler.

Le condanne 

La maggior parte delle prove e dei dossier di accusa sono presentati dalla parte americana, che nella sostanza ha promosso e gestito l’intero processo.





I processi verso la dirigenza nazista
Parallelamente al processo di Norimberga sono istruiti processi contro funzionari di vario livello della dirigenza tedesca. Il 26 aprile 1945 gli Alleati ordinano di arrestare d’ufficio gli appartenenti ai seguenti gruppi: 1°  Dignitari del partito dal grado più basso della gerarchia. 2° Funzionari e Dirigenti della Gestapo e del Sicherheitsdienst. 3° Waffen-SS dal grado più basso di sottufficiale. 4° Ufficiali di Stato Maggiore delle Tre Forze Armate. 5° Ufficiali di Polizia. 6° SA dal grado più basso di ufficiale. 7° Ministri ed alti funzionari, responsabili territoriali e comandanti civili e militari dei territori occupati. 8° Nazisti e simpatizzanti nazisti dell’industria e del commercio. 9° Giudici e procuratori dei Tribunali speciali. 10° Traditori Alleati passati al servizio dei Nazisti.
La data di riferimento per i capi di accusa è il 1 settembre 1939, ove emerge che i “crimini contro l’umanità” non possono essere stati perpretati prima della guerra. Con questo vengono dichiarate non criminali le seguenti organizzazioni: le SA, perché nel corso della guerra le sue attività furono insignificanti; il Consiglio di Gabinetto, perché ristretto di numero, e l’Alto Comando dello Stato Maggiore Generale nella sua generalità ( l’accusa riguarda solo alcune decine di generali). Quindi non sono dichiarate criminali il Corpo degli Ufficiali e quello della Funzione Pubblica

Con questi criteri si individuano circa 5000 persone. Ma il numero si riduce a circa 200 in ragioni di tipo “procedurale”; sono duecento  “esponenti” centrali nella determinazione della tragedia dell’Olocausto.

Costoro sono raggruppati in dodici procedimenti d’accusa, che vale la pena di elencare: 1° contro i medici nazisti; 2° contro il maresciallo dell’aeronautica Eberhard Milch. 3° contro il ministro della giustizia Franz Schlegelberger e i suoi collaboratori. 4° contro Oswal Pohl e la burocrazia dei campi di concentramento e sterminio. 5° contro gli industriali del gruppo Flick. 6° contro la I.G. Farben. 7° contro i generali dell’Esercito operanti nei Balcani, nello scacchiere Sud-Est. 8° contro i mebri dell’Ufficio Centrale della razza. 9° contro i componenti i Einsatzgruppen. 10° contro il gruppo industriale Krupp. 11° contro alti dignitari della Politica del III Reich. 12° contro i generali in comando nella Campagna di Russia.
In totale, sono posti sotto processo 185 persone, 15 per diverse cause esclusi.
Alla fine dei 12 processi “minori” di Norimberaga si hanno i seguenti verdetti: 35 imputati dichiarati non colpevoli; 97 condannati a pene detentive fino a vent’anni di carcere; 

mercoledì 13 aprile 2011

INTERNAMENTO MILITARE ITALIANO IN GERMANIA 1943-1945


Le vicende che diedero origine all’Internametno della Seconda Guerra mondiale sono note: Vittorio Emanuele III, dopo aver colto l'occasione del voto contrario a Mussolini del Gran Consiglio del Fascismo, di esonerare dalle responsbailità di governo Mussolini, affidò al Meresciallo badoglio l'incarico di formare un governo che trovasse una soluzione accettabile per uscire dalla guerra dichiarata il 10 giugno 1940 alla Francia ed all'Inghilterra e dalla stragrande maggioranza degli italiani, nell'estate del 1943, considerata ormai perduta.
Il Maresciallo Badoglio, dopo tentativi più o meno infruttuosi, risce a prendere contatti con gli Alleati e a gingere alla firma di un Armnistizio tra l'Italia e le potenze anglosassoni. Questo Armistizio viene siglato il 3 settembre 1943 in un uliveto nella piana di Cassibile.
La notizia di tale firma viene data dagli Alleati, all'insaputa di badoglio la sera dell'8 settembre, con lo scopo primario di agevolare lo sbarco nel golfo di Salerno previsto nella notte tra l'8 settembre ed il 9.  Il governo badoglio non riesce a padroneggiare la situazione e praticamente lascia  le Forze Armate in balia di se stesse. La pronta reazione tedesca, agevolata dal fatto che Berlino, dalla caduta di Mussolini, aveva sempre piuù diffidato dell'atteggiamento italiano, nel breve volgere di qualche giorno disarma ed annienta tutte le forze armate italiane sia in Italia che all'estero, determinando l'inizio della tragica  odissea degli  Internati Militari Italiani in Germania


La Consistenza delgi Internati Militari Italiani

Secondo studi recenti[1] l'Italia schierava, alla data dell'armistizio oltre  1 milione e mezzo di uomini; complessivamente ne sono stati disarmati 1006730, mentre i rimanenti 493.000 sono riuscite a sfuggire alla cattura tedesca, o a raggiungere la montagna, o le proprie case oppure, se all'estero, i movimenti di resistenza  già attivi contro la coalizione antihitleriana.

Secondo le stesse fonti i 10076780 militari italiani catturati dai tedesci, sono stati presi dai seguenti reparti germanici: Comando gruppo Armate B, Rommel, in Italia, 415.682, Comando 19° Armata, in  Francia, 58722, Comando Sud Italia, Kesserling, 102.342, Comdando gruppo Armate Est, Grecia ed Egeo, 265.000 e Comando  2a Armata Corazzata, Balcani, 164.986.

La stessa fonte offre il seguente quadro generale di situazione sui militari italiaani internati in  Geermania:
-         militari italiani alle armi, oltre 1.500.000
-         militari italiani sfuggiti alla cattura, 493.000
-         militari italiani catturati, 1006.780
-         militari italia sfuggiti ai tedeschi dopo la cattura, 190.000
-         militari italiani internati, 725.000
-         militari italiani che hanno aderito alla RSI dopo l'ingresso nei lager, 114.500
-         militari italianiconsiderati prigionieri ed inviatial fronte dell'est come ausiliari, 12000
-         militari italiani internati nei lagr del III Reich e territori occupato, 598.000

Da questo riepilogo emerge che il 19% ( 190.000) del totale di 1.006730 militari disarmati sono sfuggiti ai tedeschi o col loro consenso o per abilità personale, mentre circa il 20% hanno collaborato con i tedeschi sia la momento del disarmo (90.000) sia con le successive adesioni dall'ottobre 1943 al gennaio 1944 (114.500), cifra che rappresenta il 16% degli italiani internati nei campi di concentramento (725.000).

I dati che sono stati riuportati presentano discrepanze dell'ordine dell1% e quindi dovrebbero corrispondere o essere quanto meno piuttosto vicine alla relatà storica.

L’attività del Governo per l’assistenza agli Internati

Sin dai primi mesi del 1944, il Governo del Sud, in relazione al problema dei profughi civili, e poi dei prigionieri di guerra, aveva istituito:
L’Alto Commissariato per i prigionieri di Guerra, con decreto-legge 6 aprile 1944, che doveva sovrintendere allo stato, trattamento impiego ed assistenza dei prigionieri di guerra “sino all’atto del loro loro rimpatrio”
L’Alto Commissariato per l’Assistenza dei Profughi di Guerra, con decreto-legge  29 maggio 1944, che era destinato a trattate le materie “nei confronti dei civli profughi di guerra internati e deportati in conseguenza di eventi bellici.
L’Alto Commissariato per i reduci, con decreto-legge 1 marzo 1945 n. 110, per occuparsi dei reduci al momento del loro collocamento in congedo
Per nessuno dei tre Enti era previsto il compito di predisporre l’organizzazione del rimpatrio dei prigionieri, ne essi avrebbero avuto, del resto, l’attrezzatura necessaria.

Nell’ottobre 1944, allorché l’andamento della guerra stava autorizzando a pensare che si poteva profilare un inizio di rietnro dei militari reduci dalla Prigionia e dall’Internamento, si affrontò il tema di come mettere sul campo le attrezzature necessarie e chi vi dovesse provvedere.
La Presidenza del Consiglio, preso atto che gli Alleatiintendevano che l’Esercito si dovesse disinteressare a questo problema, in quanto gli Alleati non intendevano distrarre dalla loro organizzazione logistica e in parte operativa, alcun elemento italiano, decise didare mandato al Sottosegretario alla Guerra di predisporre un piano per l’ccoglimento dei reduci, in accorto con i due Alti Commissariati esistenti.

Da tale piano emerse e fu costituito l’Ufficio Autonomo Reduci da prigionia di Guerra e Rimpatriati ( Decreto Ministeriale del 9 novembre 1944 n. 4300) in cui si specificavano chiaramente le sue attribuzioni, che erano

a)     Questioni di carattere generale attinenti all’organizzazione dell’accoglimento in Patria dei reduci da prigionia e rimpatriati; rapporti con l’Autorità Alleate e con gli Alti Commissariati prigionieri e profughi di guerra nonché con le autorità italianecentrali e perifericheeventualmente interessate
b)    Comunicazioni di volta in volta agli enti interessati dell’arrivo di scaglioni di reduci e rimpatriati
c)     Organizzazione delle operazioni di ricevimento nei porti di sbarco e nelle zone di confine dei reduci e dei rimpatriati e loro smistamento nelle formazioni sanitarie e logisticheall’uopo predispote ( campi di sosta e contumaciali (denominati Centri Alloggio) ospedali, convalescenziari, commissioni interrogatori.
d)    Avviamento dei reducie rimpatriaiti (previa licenza) alle formazioni militari (per gli aventi obbligo) e contatto con le organizzazioni civili (per i congedati) tramite l’Alto Commissario profughi e ministeri eventualmente interessati
e)     Trattazione per quanto di competenza del Ministero della Guerra, delle questioni relative allo stato giuridico (collaboratori, ex collaboratori, prigionieri e liberati sulla parola, militari italiani repubblicani fatti prigionieri dagli alleati, matrimoni di prigionieri di guerra con donne straniere ecc.
f)      Pratiche amministrative relative ai reduci e rimpatriati in accordo con gli organi amministrativi competenti (centrali e periferici)
Le questioni amministrative di carattere generale e normativo e che comunque implicano impegni di spesa sul bilancio saranno trattae tramite il Gabinetto.

Trattandosi di militari era logico che tale attività fosse affidata all’Autorità militare, unica che poteva disporre, con minore dispendio, dell’attrezzatura necessaria, che aveva diramazione organica in tutto il territorio liberato e di competenza specifica per i trattamento matricolare, amministrativo e disciplinare del reduce.

I reduci, a mano a mano che venivano restituiti alla vita civile entravano nella sfera di competenza del Ministero dell’Assistenza post-bellica, istituto con Decreto Legge  del 21 giugno 1945 n. 380 e del 31 luglio 1945 n. 425. Questo Ministero sostituì ed assunse le attribuzioni dei tre Alti Commissariati istituti nel 1944.

Ufficio Autonomo Reduci da prigionia di Guerra e Rimpatriati nella sua fase inziale dovette superare notevoli difficoltà, soprattutto in relazione alla grossa confusione esistente in tema di rimpatri.

Le autorità Alleate, che di fatto comandavno in Italia, appellandosi alle Istruzioni Amministrative della M.M.I.A., i quali testualemte recitavano:
“ Gli individui che sono stati mebri del passato esercito italiano sono considerati sivili fino a che essi non siano stati arruolati o richiamati secondo la procedura militare italiana attuale”.
Queste attestazioni applicative  quindi non riconoscevano la qualità di “militari” ai rimpatriandi, cosa in palese contrasto con la realtà. Di conseguenza essendo i ripatriandi “civili”, le organizzazioni che li dovevano accogliere non dovevano essere militari e ma organizzazioni con personale civile.
Nella primavera del 1945 il compito principale dellìUfficio Autonomo fu quello di sottrarsi da ogni influenza  o competenza di enti non Militari e trattare direttamente con la Commissione Alleata, la War Materials Disposal and Italian P.W. Sub Commission, accentrado al Ministero della Guerra il delicato problema dei reduci. Investire di responsabilità alcuni organi del Ministero della Guerra la trattazione di materie di loro competenza in relazione ai reduci. Fare accettare alle autorità Alleate il principio morale e giuridico che dovesse essere l’’autorità militare a ricevre i reduci. Con la fine della guerra l’Uffcio Autonomo riuscì a rendere indipendente la sua organizzazione.
Nelle stesso tempo l’Ufficio Autonomo ha chiesto aiuto ed assistenza ad altri Enti, quali la Croce Rossa Italiana, La Pontificia Commissione Assistenza, UNRRA, ed il Vaticano.

L’azione dell’Ufficio Autonomo sul campo si è materializzata con la creazione di Centri Alloggio, che non erano altro che i vecchi campi contumaciali, ma che per ragioni di opportunità e psicologiche cambiarono nome,  in corrispondenza dei principali porti e passi di frontiera. L’Organizzazione dei Centri Alloggi provvedeva a ricevere, assistere, vettovagliare, amministrare, immatricolare, smistare i reduci. In particolare queste operazioni erano fatte tenendo in evidenza la provenienza dei reduci, ovvero da campi di concentramenti; vi si tentava di dare una calda accoglienza a chi aveva tanto sofferto, cercando di smussare o eliminare quegli aspetti burocratici che spesso sono più deleteri di ogni altra cosa.
Per lo smistamento si creavano ogni categoria (civili, militari dell’esercito, marina, aeronautica, guardia di finanza, carabinieri, ecc,) destinazioni “ad hoc, presso le organizzazioni di competenza.
L’Ufficio Autonomo, nell’aprile 1945, creò a Milano un suo Distaccamento chiamato Delegazione di Milano, che nel suo massimo sviluppo impiegò 2100 Militari e 1070 impiegati civili

I criteri che sotenne l’opera dell’Ufficio Autonomo sono stati:
-         nessun ostacolo o remora al rimpatrio dei reduci
-         massima accelerazione ad ogni pratica per il rimpatrio
-         massima assistenza possibile in termini materiali
Questi criteri sono stati contrastati da oggettive difficoltà, quali da esempio la carenza di mezzi di trasporto, la cui priorità era assegnata ai rifornimenti ed ai avvicendamenti dei reparti e da fattori contingenti, quale ad esempio la necessità, per l’Inghilterra. Di utilizzare nei lavori di campagna nel regno Unito, la mano dìopera dei prigionieri italiani, considerata pregiata, sino a che non è stato possibile sostituirla con aliquote di prgionieri tedeschi.

Ai primi di aprile, in previsione della disfatta tedesca, nell’Italia del Nord, in previsione del rientro in Italia degli Internati in Germania, Olanda, Belgio, Francia, Polonia, furono approntati studi che prevedevano una organizzazione così articolata:
-         centri avanzati a contatto con la frontiera
-         centri mediani sulla linea Torino Milano Verona Treviso
-         centri arretrati sulla linea Piacenza- Forlì per lo smistamento degli internati diretti nell’Italia centrale e Meridionale.
Nei centri mediani ed arretrati si inserì anche l’organizzazione militare incaricata del trattamento amministrativo e matricolare dei reduci militari ed in Milano venne costituito un Centro Alloggio totalmente militare.
A rinforzo di questo, l’Ufficio Autonomo attivò centri alloggio a Firenze, Arezzo, Roma, e posti di transito e sosta a Civitavecchia, Messina, cagliari, e Trapani.

Nel periodo Maggio-settembre 1945, transitarono ne centri alloggi dell’Italia settentrionale e centrale:
reduci dalla Germania e dalla Svizzera………………….circa 404.500
reduci dala Francia (cooperatori)………………………..circa   13.700
reduci dalla Francia (4° armata)…………………………circa     7.100

Nel periodo Ottobre- Dicembre 1945
reduci dalla Germania e dalla Svizzera………………….circa 204.600
reduci dala Francia (cooperatori)………………………..circa   21.200
reduci dalla Russia………………………………………circa     9.500

Nel periodo Gennaio- Marzo 1946
reduci dalla Germania ……………….………………….circa  18.300

Nel periodo Aprile- Luglio 1946
reduci dalla Germania ………………….……………….circa   6.000

Il problema politico del Rimpatrio.
La situazione economica dell’Italia al momento dell’accogliemento dei reduci e tragica:
Fatti uguali a 100 i valori del 1939, nel 1945:
-         il reddito nazionale è sceso del 51,9%
-         la prodizione agricola è scesa del 63,3%
-         la produzione industriale e scesa del 29%
-         i consumi sono scesi el 38%
Inoltre l’inflazione sale verticalemtne mentre il potere di acquisto delle retribuzioni scende del 22%
La disoccupazione è elevata: nel 1945 vi sono oltre un milione di disoccupati, cifra destinata a salire negli anni successivi.
Non vi erano condizioni economiche per accoglierli come si dovrevve.
Per gli Internati l’accoglienza, si può sintetizzare in poche frasi.
Liquidate le loro competenze essi vennero posti in congedo. Solo quelli bisognosi di cure vennero ospitati negli ospedali militati per un periodo di 2-3 settimane e successivamente ebbero qualche sussidio dal Ministero della Assistenza post belica. Nel 1945, all’indomani della fine della guerra, rientrò la gran massa degli Internati, tornò alle loro case e alimentò il numero dei disoccupati, senza alcuna assistenza particolare. Gli agricoltori tornarono subito al lavoro, ma esso era redditizio solo per chi lavorava la propria terra, in quanto poteva vendere i propri prodotti al mercato nero; i braccianti avevano paghe miserrime, specienel Sud, ed alimentarono episodi di lotta contadina e successivamente una vivace immigrazione verso l’America Latina e successivamente verso il settentrione della Francia
Le sorti di coloro che erano operai furono difficili.I lavori della ricostruzione edilizia, delle vie stradali e ferroviarie sarebbero stati a portata di mano, ma ogni ripresa produttiva era resa impossibile dalla crisi finanziaria e dalla deficienze delle materie prime. Sarà solo con l’avvio del programma UNNRA, ma circa due anni dopo che questa ripresa si avviasse.
L’atteggiamento delle autorità verso l’Internato fu di diffidenza e di disinteresse.
Le autorità Militari, per definizione, sono sospettose verso il militare che cade prigioniero o internato; si interessano a lui solo per conoscere il modo con cui è stato fatto prigioniero, poi si disinteressano. E così fu fatto
Le Autorità Politiche non amano pensare agli Internati in quanto constatano che tutti gli Internati sono stati partecipi  della guerra “fascista”, quella del 1940-1943, e quindi, nonostante l’Internamento o sono “fascisti” nell’animo o sono “badogliani”, e questo è un appellativo che apre ampie riserve mentali, e le loro traversie non hanno fatto rumore e non possono essere sfruttae a fini politici, anzi temono il fenomeno del “reducismo” considerato una delle piaghe che nel primo dopoguerra portò a facilitare l’ascesa del fascismo.
Ma sugli Internati pesa l’accusa, mai lanciata, mai messa su carta, mai pronunciata, ma pensata da molti, di “badoglianesimo”, ovvero il fatto che all’indomani della proclamazione dell’armistizio, hanno ceduto le armi per vari motivi: perché erano stanchi di combattere, per non rischiare la propria vita, convinti che la guerra fosse finita e non pensarono al altro che a ritornare a casa.  In pratica, salvo le eccezioni, la gran massa degli Internati fu accusata di aver ceduto le armi ai tedeschi, venendo neno ad uno dei primi obblighi del militare. Poi, dopo riflessione su quello che è stato il loro comportamento nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio, si sono riscattati  non collaborando con il tedesco.
Ma il momento della resa non fu perdonato, nell’animo a costoro e nessuno tenne  in debita considerazione il loro comportamento dietro il filo spinato

Da questa situazione emerse un atteggiamento, una volta giunti in famiglia, di totale chiusura a parlare della loro esperienza. In confronto a coloro che avevano preso le armi, i partigiani, che erano coloro che uscivano dalla guerra come vincitori, gli Internati erano o fascisti sconfitti, o traditori senza che lo si pronunciasse, oppure dei vigliacchi venuti meno all’onore militare. Nessuno volle riconoscer ele sofferenze da loro patitte, che del resto, facevano sistema con tutte le sofferenze del popolo italiano.
Questo atteggiamento di totale chisusa in se stessi fece si che il fenomeno dell’Internamento militare sia poco conosciuto, anzi un fenomeno che fino agli anni novanta rimase ai margini della nostra coscienza civile.







[1] Schreiber G., I Militari Italiani Internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'esercito, ufficio Storico, Roma, 1992

martedì 5 aprile 2011

L’Internamento e la Prigionia al Femminile


Nella esperienza delle missione di pace si affacciano all’orizzonte del nostro impegno militare, oltre a tutto quello che può essere operare in un teatro fuori area Nato e su un terreno diverso da quello nazionale, due novità: l’impiego in zona d’operazioni, ancorché a fini di pace, di personale femminile e quindi possibilità che questo personale possa subire una delle conseguenze dell’impiego in un conflitto, ovvero cadere in potere dell’avversario, cioè cadere prigioniero.
Le avvisaglie di queste novità le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: personale non militare femminile sono state prigioniere per un perizio relativamente breve di  “avversari”. Si fa riferimento alla vicenda delle due Serene e della giornalista Giuliana Sgrena. Da queste esperienze si ha la base per affrontare, almeno teoricamente, un argomento che spesso è ignorato e non affrontato per gli uomini, mentre per le donne non è nemmeno ipotizzato. La prigionia militare femminile è un argomento nuovo, non affrontato e soprattutto non pertinente, in “re ipsa”, come tutto quello che attiene alla prigionia di guerra stessa.
Il reclutamento del personale femminile nelle forze Armate ri recente nel nostro paese, dopo decenni di opposizione  è stato accolto come una grande conquista, un raggiungimento di livelli “come altre altre nazioni all’avanguardia”, ad altre attestazioni di autoesaltazione in molti casi fuori luogo. In realtà l’Italia ha avuto sempre scarsissime risorse da destinare allo strumento militare, l’unica risorsa che ha avuto in modo largo è stato il personale: il tasso di nascita in Italia è stato sempre altro e gli “uomini” sono sono mai amcati. Il problema è sempre stato come vestirli, armarli e nutririli nelle froze armatae in modo adeguato e in relazione alle necessità operative. E in presenza di scarse risorse, vestire e mantenere un uomo costa di meno che vestire emanate un uomo e una donna. Ma mai vi è stata una carenza di “materia prima” sotto il profilo del perronale. Con i tassi di natalità da “nazione civilizzata” ovvero bassi e piatti, questa risorsa è venuta meno; in più si è scatenato un movimento di “equiata” di cui propri non si sentiva il bisogno. Quindi queste deu componeti,anche in presenza di una riduzione di personale, ha fatto si che oggi, ritenendoci nazione “civile”, per dare pari opportunità alla donna, eccoci ad avere nelle Forze Armate uomini e donne, con il relativo aggravio di costi.
Ma non è solo questo. Sotto la divisa non si fanno distinzioni un soldato è un soldato, non vi è il soldato e la “soldata”: quando la bomba cade non fa distinzioni. E si deve ragionare in teremini di soldato, sia esso di sesso maschile sia di sesso femminile. Questo occorre sempre ricordarlo a chi, donna, indossa una divisa, qualunque essa sia. Non vi sono trattamente speciali e le conseguenze, se impreparti,possono essere devastanti. Oggi,in Italia, vedendo tante giovani che si pavoneggio nelle loro uniformi, che civettano con questi aspetti militarizzanti, un richiamo a quello che c’è dietro l’angolo, il rovescio della medaglia può essere utile per evitare traumi e tragedie future.
Quindi un soldato, disesso femminile, in linea anche in missioni di pace, può cadere in potere dell’”avversario” ovvero prigioniero. E qui occorre affrontare il tema e preparsvisi.
Non vi sono precedenti nel nostro paesi di prigionia militare femminile, ne tantomeno studi e riferimenti affinché questo tema sia sviscerato come dovrebbe. Ma vi sono esperienze analoghe, di Internamento in guerra e di Internamento di pace. Tralasciando l’Internamento di pace un buon riferimento può rappresentare l’Internamento di guerra, ovvero quella compoente dell’Inetrnamento in genrmania che ha interessato, per motivi raziali, politici ed etnici un buon numero di donne. Inoltre vi è una esperienza similare alla prigionia femminile in quella delle donne entrate nella resistenza, entrate nella formazioni combattenti partigiane cadute prigioniere dei nazifascisti ed avviate nei lager in Germania.
Da queste esperienze si possono avere delle indicazioni e degli approfondimenti per il presente; nel contempo si affronta un tema della guerra di liberazione, quello dell’Internamento femminile, che tra l’oblio generale dell’Internamento in genere è il più dimenticato e il più incompreso.
In  articolo per “Rassegna”, la rivista della Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia  
(ANRP) ho fatto cenni all’Internamento Femminile, un internamento, quello in Germania, dopo l’8 settembre 1943 nel nostro Paese  ancora incide nella nostra coscienza  nazionale, anche se la percezione di questa tragedia è solo sotto l’ottica maschile. Questo si verifica sia riguardo agli oppressori ( stato hitleriano , singoli nazisti) sia riguardo alle azioni ed alle reazioni delle vittime dell’internamento.
Queste dinamiche sono state sempre presentate e studiate come se l’internamento interessasse solo gli uomini, relegando l’internamento a cui furono soggette le donne a profili marginali, quasi insignificanti, in una visione subalterna, nel substrato, forse anche inconscio, che la guerra e le sue conseguenze sono “cose da uomini”. In una proiezione abbastanza reale, questo approccio si ha per le situazioni di impiego del nostro personale femminile. Tutto è pensato in un ottica maschile, quasi che chi non è maschio non è ammesso. Ora difficile fare degli scenari in cui nostro personale femminile sia caduto prigioniero in mano “avversaria” e questa non è la rivista più indicata per affrondire questi argomenti. Andiamo quindi in parafrasi su quanto scritto per l’ANRP e vediamo a che cosa sono andati incontro le donne, quelle che sono entrate nelle formazioni combattenti, per avere un punto di riferimento e avere quindi degli orientamenti. Nel contempo, come detto, portiamo all’attenzione un apsetto della nostra storia caduto nell’oblio

            Nello stato nazista, si scriveva nella’articolo della ANRP, la concezione ideologia era stata approntata primariamente e forse esclusivamente da uomini, facendo appello alla durezza, alla spietatezza, alla mortificazione e negazione di   tutto quello che poteva anche apparire dolce, tenero e comprensivo. L’ideologia nazista quindi portava una profonda avversione per il sesso femminile, dividendo le donne in due parti: quelle appartenente ad una categoria superiore, e perciò in chiave di purezza della razza, di “alto valore riproduttivo” e quelle di categoria inferiore, a cui assegnavano in quanto tali, un “valore riproduttivo nullo”, ricorrendo in modo sistematico alla sterilizzazione, all’aborto, e poi anche alla loro soppressione. 
Appartenenti alla seconda categoria, coloro che erano internate, per motivi politici, religiosi, etnici ecc.,  in un lager avevano già contro tutto un apparato ideologico, a prescindere se ebrea, resistente, oppositrice, o ogni altra categoria, che infieriva contro la sua identità femminile. Un ( concetto: si cade in mano a un apparato fortemente maschilista, duro, che non è tenero che non ammette debolezze)

Appena entrata nel lager si attacca il suo aspetto esteriore, levandogli i vestiti, ogni oggetto personale, dandogli indumenti standardizzati ( i camicioni a righe), rasando le parti intime, tagliando a zero i capelli, eliminando la possibilità di pulizia e cura di se; si calpestano costumi radicati, come i denudamenti e le attese, nude, al chiuso e all’aperto, spesso sotto gli occhi di tutti.

Il trattamento che le donne ricevano nel lager e quindi più pesante di quello inflitto all’uomo. L’atmosfera è  impegnata perennemente di paura, di umiliazioni, di privazioni, di fatiche che in breve incidono  nella sfera prima psichica poi biologica.Prima manifestazione di questo è la scomparsa del ciclo mestruale. Nel prosieguo si straziano i valori della maternità e del materno: i figli vengono separati dalle madri oppure le madri li vedono morire nelle camere a gasa; le donne incinte al loro arrivo abortiscono o vengo fatte abortire oppure i neonati appena  nati non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza o addirittura uccisi. I bambini vagano per il campo ma è noto a tutti che hanno pochissime possibilità di sopravvivenza.

Tutto questo non è ipotizzabile per una pesperinza di prigionia di guerra. Non vi sono le premesse, ma occorre prendere in esame che

A questa esperienza la donna in quanto tale vi arriva impreparata, non come i loro coetanei maschili che gli obblighi militari di leva e l’addestramento alla guerra hanno in parte preparato. Per le resistenti, per coloro che salgono in montagna o entrano nei nuclei cittadini, pur nella consapevolezza di correre un rischio anche serio, non si arriva mai a preventire quella che poi potrebbe essere l’esperinza di un lager tedesco. Le stesse donne ebree, che la storia e la tradizione e la luna sequenza di persecuzioni, arrivano impreparate alla esperienza del lager.

Ecco il motivo chiave di queste note: a queste esperienze occorre arrivare preparate. La divisa non è solo luccichio di bottoni, di stelle strisce gradi e altro. Quando si dice che è pesante vuol dire che questo……………addestraemto alle situazioni difficili


Le forme di resistenza e le strategie di sopravvivenza opposte al trattamento nel Lager, sono varie, la più diffusa è la speranza ed il sogno del ritorno, ovvero ad immaginare un immediato futuro in cui la liberazione rappresenta un momento culminate, fondamentale. Proprio questa strategia che per molte significò la volontà e la voglia di sopravvivere all’orrore del presente, si rilevo poi un terribile dramma.
La liberazione fa si che il popolo delle internate e delle deportate almeno visivamente scompare, ma rimangono le profonde ferite.
Nel momento in cui le Internate provano a raccontare a relazionarsi emergono tutte le difficoltà e tutte le incomprensioni di chi non ha passato l’esperienza del lager.

Il problema del sesso. Nell’Internmento in germania questo è uno dei punti più delicati e difficili da trattare
 Le donne, per lo più giovani, perché le più anziane non potevano sopravvivere e quindi non sono tornate, erano state catturate da uomini ed internate da uomini: il corto circuito tra internamento femminile e stupro è quasi inevitabile; non si vuole nemmeno approfondire se vi furono cedimenti o complicità nella violenza, e sutto rimane a livello di sospetti, sottintesi e tutta la vicenda sprofond in forme di disconoscimento. Quando poi usciranno libri come “la case delle bambole”  e film amche di un ceto valore, come il “portiere di notte” l’eterno dolore femminile del lager sarà esposto ad una nuova esacerbazione. Mentre per l’uomo uscito dal lager incide il pensiero “perché proprio io sono sopravissuto” e non l’amico, il conoscente o la persona sconosciuta, alimentando sensi di colpa infinti, nella donna oltre a questo, impalpabile aleggia la mai detta accusa “ tu sei sopravissuta perché sei andata a letto con un tedesco”, alimentando ancora più devastanti sensi di colpa e sposso impossibilitando una ricostruzione psichica e morale.


Perche sei andata soldato: una scelta come un'altra e quindi non vi sono le accuse date alle Internate che agirono solo su base strettamten volontaria
A questa incomprensione generalizzate volta all’Internamento[1] si deve le particolari resistenze che le Internate hanno affrontato per relazionarsi con chi è rimasto. Prime fra tutte le Internate per motivi politici. Le accuse nei loro confronti sono pesanti e contraddittorie: da una parte, anche se velatamente, si rimprovera loro di essersi andate a cercare i guai, interessandosi di guerra e politica, cose che da sempre sono di stretta pertinenza degli uomini. Se la scelta di andare a combattere e di opporsi è fatta al seguito di un uomo,sia esso padre, fratello, marito, amante, amico si rimprovera loro di non essere state autonome nella scelta; se invece si è scelto autonomamente di opporsi ai tedeschi, subendo il lager, allora si rimprovera di aver lasciato ed abbandonato i compiti femminili.  
Il reinserimento nella vita lasciata, al ritorno, il momento tanto sognato, è spesso fonte diu ulteriori traumi: chi è stato deportato, internato al ritorno non riconosce i luoghi lasciati, le persone, sia materialemtne che psicologicamente; chi vede ritornare il suo caro non lo riconosce per come si presenta nel fisico e nella mente, troppo devastante è stata l’esperienza. Da qui quel lento avvicinarsi l’un l’altro che solo a prezzo di ulteriori sacrifici darà risultati.
Molte altre le paure e le incomprensioni del ritorno, da quella di sapere se si potevano meno avere figli e se si, se questi erano sani, nella riserva mentale di essere state inconsapevolmente soggette attraverso la nutrizione a sistemi di sterilizzazione, a quella che l’impronta di queste piaghe si trasmette alle nuove generazioni, soprattutto per via inconscia ed ad altre ancora.

Questa esperienza non può rimanere, come tutta l’esperienza del lager in Germania, confinata alla generazione che l’ha subita. Anche l’esperienza dell’Internamento al femminile deve essere posta alla attenzione delle generazioni presenti. E posta oltre che come memoria e di rispetto per chi ha subito tanto male, come elemento per guidare ed affrontare il presente, per prevenire eper correggere i mali che la nostra sogeta genera a piè sospinto. L’esperienza del lagere al femminile in Germana deve essere più approfondita nel filone di comprendere come un essere “debole” inteso non come “essere donna”, o “femminile” o debolezza morale, ma debolezza di chi, come scrive Anna Maria Buzzone, è debole di fronte alla brutalità dei perdenti è da sempre perdente e proprio per questo, nel fallimento uomano di tutti i programmi che poggiano sulla potenza, ha in sé risorse non ancora utilizzate di liberazione e di salvezza.
(per approfondimenti: ricerca23@libero.it)

[1] Sulla complessa questione della realtà dei bordelli in molti lager, della possibilità che molte internate abbiamo avuto traumi sessuali, e della conseguente voglia di rappresentazioni per lo più falsanti di questi fenomeni, e soprattutto delle fantasia che il tema scatena anche in certe componenti della cinematografia e della comunicazione in genere, vds:

venerdì 1 aprile 2011

Bibliografia I

Coslovich M., I Percorsi della sopravvivenza.Storia e Meomoria della deportazione nell'Adriatisches Kustenland, Milano, Mursia, 1994
Dragoni U.,La Scelta degli I.M.I. – Militari Italiani prigionieri in Germania (1943-1945, Casa Editrice le Lettere, Firenze, 1997
Iuso P., (a cura di), Soldati Italiani dopo l'8 Settembre 1943, Fe­derazione Italiana Associazioni Partigiane, Roma, 1988
Lops C., Storia Documentata della Liberazione, La Liberazione d'Europa, Vol. II, Attività Editoriali della Associazione Nazio­nale Reduci dalla Prigionia, A.N.R.P., Roma, 1975
Picciotto Fargion L., Il libro della Memoria. Gli ebrei deportati dall'Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 1991
Poliakov L., Sabille J., Gli ebrei sotto l'occupazione italiana,(trad. P. Malvezzi). Ediz. Comunità, Milano, 1956
Villani C., Ebrei fra leggi raziali e deportazioni nelle provincie di Bolzano, Trento, e Belluno, Società di studi trentini di scienze storiche, Trento, 1996
Riviste:
De Toni, Voci della Resistenza nei campi di concentramento in Germania, in " Movimento di Liberazione in Italia", 1951, n. 10, n. 17, 6-19

Il Blog è stato aperto il 1 aprile 2011