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domenica 24 marzo 2013

E' possibile dimenticare i reticolati?


                  Difficoltà per una memoria condivisa


 Non saranno sufficienti quattro articoli di legge per creare una memoria condivisa. Tutto ciò che è condiviso, deve essere, per sua stessa definizione, condiviso da tutte le parti coinvolte; altrimenti è una sopraffazione, una violenza, una imposizione.
L’equiparazione dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana ai Combattenti per la Libertà, è una dei tanti tentativi di voler creare una memoria condivisa “artificiale”, di facciata, frutto di speculazioni politiche e di un passato che non passa.
Basti pensare a quelli che a suo tempo, non aderino alla Repubblica Sociale Italiana, ma furono considerati collaboratori e fiancheggiatori dei repubblichini: costono rientrano o non rientrano nel paniere? I repubblichini prima aderenti poi espulsi ( i disertori della prima seconda e terza ora) entrano o non entrano nel paniere della equiparazione?
 E viceversa: coloro che non vollero entrare nelle fila dei Combattenti per la Libertà, per diversi motivi, (ad esempio gli ex monarchici) ma combatterono i repubblicini ed i tedeschi: entrano o non entrano nel paniere. E gli autonomi? E coloro che considerano ancora una vergogna aver preso le armi contro i tedeschi e i repubblicini per difendersi dalle loro violenze,  rientrano o non rientrano nel contesto in esame.
In realtà siamo di fronte ad una bella macedonia mista di ignoranza, non conoscenza, miti e leggende metropolitane, slogans, frutto di una volontà volta a far passare un passato che, essendo troppo brutto, intrasmissibile, non si riesce ad accettare e far accettare.

La strada per una memoria condivisa

E’ molto tempo che cerchiamo di descrivere una “Road Map” che ci porti ad una memoria condivisa ed abbiamo elencato alcuni punti propedeuci che occorre chiarire per poi iniziare a costruire questa memoria.

Primo approccio propedeutico: Una memoria condivisa tra chi? Naturalmente tra gli Italiani che, dal 1943 al 1945 furono coinvolti nella guerra di Liberazione.
Si possono creare due gruppi: da una parte i soldati del re, Partigiani e Patrioti, Internati in Germania non aderenti, combatteti all’estero nella fila dei movimenti di resistenza locali, prigionieri degli Alleati da una parte e,  come secondo gruppo gli aderenti alla coalizione Hitleriana dall’altra: tra questi coloro che entrarono nelle fila dell’esercito tedesco e quelli che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana ed altre categorie minori. Tra queste categorie occorre creare una memoria condivisa da cui partire per avere una soluzione accettata da tutti.

  Per il primo gruppo il problema della memoria consdivisa è stato risolto: ormai è accettato il principio della guerra di liberazione, intesa come una guerra su cinque fronti, di cui abbiamo ampiamente parlato anche su queste pagine.[1]
Per il secondo gruppo il problema è aperto.
Per gli Italiani che entrarono nelle fila dell’esercito tedesco (gli esempi sono tanti, basti dire che Praga fu difesa nei primi mesi del 1945 fino alla sua caduta da oltre 4000 italiani) l’approccio è chiaro: essi giurarono fedeltà al Fuhrer ed erano integrati perfettamente nella macchina nazista. L’unico punto da condividere è il fatto che erano Italiani; con le attenuanti delle circostanze del caso, ma è difficile trovare altra memoria condivisa. Essi fecero una scelta precisa: accettarono il regime nazista e per esso combattrono e tanti morirono. Voler condividere una memoria storica con loro significa accettare il nazismo nella sua fase finale, quella della Guerra Totale e della Conferenza di Wansee. Ovvero la soluzione finale al problema ebraico.
 Il tavolo è aperto per approfondire la questione.

Per gli Italiani che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, occorre affrontare alcuni aspetti propedeutici, che in rapida sintesi sono:

. Il 25 Luglio 1945 nessun fascista corse in aiuto di Mussolini, o combattè per salvare il Regime e il Movimento dei Fasci. Che cosa vuol dire questo: secondo molti autori che il fascismo come regime e come movimento aveva concluso il suo ciclo vitale, iniziato nel 1919, affermatotosi con la violenza nel 1922 e rafforzatosi con leggi liberticide dopo il delitto Matteotti nel 1925.
. La Repubblica Sociale Italiana fu fondata da 15 Italiani con a capo Mussolini il 23 settembre 1943 alla Rocca delle Caminate, con l’intento di dare vita, in modo rivoluzionario ed antistatale, ad uno Stato completamente diverso da quello Italiano, che lo stesso Mussolini aveva governato per 20 anni.  Il Manifesto di Verona (11 Punti) disegna uno stato fascita, rivoluzionario, sociale, che è l’antitesi dello stato democratico, atlantico, liberale. Il potere è assunto dall’ala estremista dell’ex Partito Nazionale Fascista, che non tollera al suo interno alcuna possibilità di dialogo non solo con le correnti moderate e conciliative fasciste, ma con il Regno del Sud ( Il re e Badoglio considerasti veri traditori della Alleanza con la Germania) e il movimento partigiano espresso dai C.N.L:, bollati come traditori e nemici ed antiitaliani. L’11 Gennaio 1944 a Verona vengono fucilati quei esponenti fascisti che tentarono una mediazione tra le tesi moderate e riformiste del fascismo e quelle estremiste. 
. Adesione totale ai programmi e alle finalità della Germania Nazista, in tema di guerra totale, leggi razziali, ordinamento dello stato, conquista e dominio di territori (lo spazio vitale). In pratica adesione ai protocolli della Conferenza di Wansee e partecipazione attiva alla soluzione finale, ovvero alla eliminazione fisica dei nemici non combattenti, o considerati tali, dello Stato Nazista quali ad esempio gli zingari, i rom, gli omosessuali, gli ebrei ecc.
. Accettazione delle decisioni del Reich che il 15 settembre si era annesso i territori italiani del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria e l’Alto Adige e, in modo più ampio, il totale predominio economico, diplomatico, reale sulla Repubblica delle camicie nere da parte delle autorità politiche e amministrative tedesche.
Per i componenti questo gruppo il problema rimane aperto in quanto è difficile trovare in questa griglia di valori elementi da condividere.
Non è tanto un mero conferimento di titoli ed onorificenze, o gratifiche ed emolumenti, quanto un sostanziale approccio di che cosa si rappresenta. Un Milite della Repubblica Sociale Italiana combatteva per la vittoria della Germania, per la sconfitta del Comunismo ( I bersaglieri e i battaglioni “M” a Santa Lucia a difesa del confine orientale dalle formazioni titine), per la Socializzazione ( ovvero la partecipazione al capitale anche di altre figure come gli operai e gli impiegati), per la purezza della Razza ( ovvero la eliminazione di tutti coloro che erano definti diversi), per la concezione repubblicana del fascismo, quello della prima ora, che non si annacquò con la marcia su Roma e con la svolta delle leggi fascistissime del 3 gennaio 1925 e che punì duramente i “traditori del 25 luglio”. Questo Milite  ed i motivi per cui ha combattuto dovrebbe essere equiparato a coloro che avevano idee e valori diametralmente opposti.

Il tavolo è aperto per trovare in questi elementi dei punti di contatto per creare una memoria condivisa. Come può un vero combattente della Repubblica Sociale Italiana, quello ad esempio che sosteneva dall’interno come GNR o Guardia nera le azioni delle SS Italiane, trovare una equiparazione con il partigiano delle formazioni di Giustizia e Libertà? Una equiparazione di legge sarebbe, visto poi come si è evoluta la storia nei sessanta anni successivi, una definitiva condanna della sue scelta ed delle idee per cui combatteva. Un contentino in termini di onorificenze e gratifiche, perché per tutto quello per cui combatteva non solo in Italia ma in nessuna parte dell’Europa civile si è realizzato, nemmeno in Spagna, dove il “caudillio” Franco ha fatto confluire il suo movimento fascista, per cui si combattè una durissima guerra per tre anni, in un regime monarchico- costituzionale e democratico.

Se poi, vogliamo tutto portare sul piano militare, di rispetto dei combattenti, scindendo i cambattenti onesti dai criminali di guerra, ormai tutto è acquisito. Io ricordo di aver visto ad un Raduno dei bersaglieri il compianto Bartolini sfilare con alla sua sinistra l’allora sindaco di Latina, combattente della RSI, e alla sua destra, Maras, comandante di una formazione partigiana inserita nell’esercito titino: Tutti e tre erano del Battaglione Bersaglieri Zara.

Un passato che non passa
Tirando le somme, sarebbe interessante sviluppare questi aspetti per creare una “road map” che porti ad una memoria condivisa. Ma la condizione è una, ed inequivocabile: occore ragionare e discutere su dati oggettivi di fatto. Opinioni, slogans, frasi fatte, fiction ed altro devono rimanere fuori. I documenti devono parlare, non “quello che vorremmo che sia stato”, o il desiderio di presentare la faccia buona” degli onesti e buoni fascisti, che morirono  per “l’onore d’Italia”. Questi slogans li possiamo lasciare ai manifesti di Baccasile, ma non possono essere espressioni di valori e di idee. Se vogliamo parlare di foibe, ad esempio, ebbene uno dei documenti base per discutere questa tragedia è la famosa circolare di un generale italiano in cui, sul finire del 1943, ci si lamentava che i nostri comandi in Istria e Slovenia, erano troppi morbidi, si “fucilava poco”. E scritto in questa circolare che occorreva essere spietati come tedeschi ed Ustascia. La nostra occupazione di quelle terre non può essere ignorata quanto di parla di Foibe, come non possono essere ignorati i rastrellamenti di Lubiana delle Brigate Granatieri di Lombardia e di Sardegna, il campo di concentramento di Gonars, il campo di conceramento di Monigo, e di Padova Chiesanova. Anche aprire queste pagine dolorose porta ad una memoria condivisa. La favola del soldato italiano buon occupatore la raccontiamo tra noi stessi: sloveni, croati, montenegrini, albanesi, greci, russi, serbi, etiopi, somali ed eritrei, e tanti altri hanno opinioni diverse,  e che  si dovranno pur prendere in considerazione.
Così come il repubblichino che credeva in quello che faceva: oggi si trova equiparato a tutto ciò contro cui combatteva: ennesima sconfitta della sua scelta, voluta dai suoi eredi che vogliono costruire una memoria basata più “su quello che è bene che sia” rispetto a quello che “è stato”. Per creare una momoria condivisa devono parlare solo i dati oggettivi, i documenti: su quella base si possono sviluppare ragionamenti ed opinioni. Sulle volontà politiche del momento si costruisce solo contrapposizioni e barriere che confermano che la libertà e la democrazia, oltre che la tolleranza, non sono conquiste acquisite, ma che vanno conquistate ogni giorno.


[1] La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione alla coalizione antihitleriana. Abbiano indivduato i fronti di questa guerra in cui si combatté in nome di una Italia diversa e democratica. Chi, invece, aderiva alla Coalizione Hitleriana, perseguiva i fini che questa postulava.
I  fronti individuati sono i seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania).
-   Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale.

giovedì 14 marzo 2013

Le leggi Razziali in Italia. 1938 Conseguenze



Breve Storia di una famiglia in fuga durante la guerra.
Camilla Filipponi, Studentessa, Anni 18, VF,

Si chiama Angelo Di Cave  ed è di religione ebraica,  all’epoca dei fatti la famiglia era composta da padre, madre e tre sorella più grandi. Vivevano a Velletri ( in provincia di Roma, nell’area dei Castelli Romani), dove il  padre,  insieme al fratello, avevano avviato due grandi negozi di tessuti e abbigliamento, una fabbrica di mobili con 3 grandi magazzini e una fabbrica di reti per letti.Erano quindi una famiglia molto agiata, pur facendo una vita molto semplice a causa naturalmente della guerra. Quando furono promulgate le leggi razziali,  le sue sorelle furono espulse dalla scuola statale, nonostante avessero ottimi voti, mentre lui iniziò privatamente la prima elementare. 


 Il fascio concesse al padre alcune piccole deroghe in quanto più volte ferito nella guerra del 1915/1918. Rinunciò alla  pensione di invalidità, in quanto sosteneva che dopo la guerra,  la patria aveva più bisogno di lui,  che lui dei loro soldi ed è per questo che rinunciò  ad ogni piccolo privilegio che veniva concesso dallo Stato perché non voleva servirsi dei loro favori, l’unica cosa che avrebbe voluto era la libertà. A Giugno del 1943 si trasferirono tutti insieme presso la  famiglia dello zio, nella villa in campagna sempre fuori  Velletri,  perché l’aviazione Inglese bombardava incessantemente il centro del paese in quanto la cittadina era un’importante stazione ferroviaria, usata dai tedeschi per lo scambio delle truppe. I primi giorni del mese di settembre dello stesso anno,  il commando tedesco di Roma stabilì che la Comunità Ebraica doveva versare 50 kg di oro in cambio della  non persecuzione e deportazione degli ebrei romani.  Grazie anche alle offerte di molti cattolici riuscirono in tre giorni a raccogliere i  50 kg di oro e consegnarli ai  Tedeschi, i quali riconfermavano quanto da loro promesso. Dopo circa un mese da questi fatti, alle ore 5,00 della mattina del  16 Ottobre, anche gli ebrei romani furono strappati dalle loro case e dai loro parenti senza distinzione tra uomi, donne, bambini, neonati e anziani. Durante questo triste rastrellamento,  furono presi i suoni nonni materni ( la nonna morì  prima di arrivare in Germania, mentre in nonno di professione giornalista, riuscì a sopravvivere per alcuni mesi nel campo di sterminio di Auschwitz , dove poi fu ucciso nelle camere a gas) , poi furono prese le sorelle del padre con i mariti e quattro figli di otto,sei, quattro e due anni. Successivamente  presero  il fratello sempre del papà con la moglie e le bambine di tre e due anni,  i due zii della madre ed infine altre undici persone di famiglia.  Di tutte queste persone elencate,  nessuno è tornato dai campi di concentramento. Fortunatamente tutta la sua famiglia si salvò,  nonostante questi lunghi e interminabili nove mesi di fughe e persecuzioni,  furono costretti a continui spostamenti, sempre sparsi per le campagne di Velletri. Ricorda che trascorsero  25 giorni in una grotta insieme  con altre 40 persone di Velletri, di cui alcune gravemente ferite,  altre molto malate, naturalmente tutto ciò senza ricevere le dovute cure. In questi giorni vissuti al buio e freddo, non avevano niente  dove potersi riposare,  infatti   la notte dovevano dormire sdraiati a terra come bestie, nell’umidità e nella sporcizia, non  potevano uscire a cercare cibo perché  la grotta si trovava in un luogo situato  tra le truppe tedesche,  posizionate a circa 300 metri di fronte,  e le truppe americane posizionate alle loro  spalle a circa un chilometro, i due schieramenti si sparavano giorno e notte  ininterrottamente, finchè un giorno,  le truppe  americane riuscirono a colpire la posizione tedesca,ma si allontanarono senza liberarli. Durante questi 25 giorni  sia lui che la sua famiglia soffrirono la fame,  è ciò che  ricorda tristemente,  ma  solo oggi,  a distanza di  anni  lo giustifica,  fu il fatto che allora,   ognuno pensava solo a se stesso . Infatti  anche se alcune delle  persone presenti con lui nella grotta avevano da mangiare, queste non lo divisero con nessuno,  perché  in quei terribili giorni,  non si sapeva che fine uno avrebbe fatto,   non sapevi quanto  dovevi  stare nascosto, non sapevi  se ti avrebbero liberato gli americani  o saresti stato catturato dai tedeschi, quindi dovevano  sopravvivere con quel poco da mangiare che avevano, quindi   si viveva alla giornata. Per  concludere questa breve storia, la quale credo sia servita  ad offrire un ulteriore testimonianza degli stati d’animo di quel periodo i quali hanno segnato la storia Italiana e non solo, il Sig. Di Cave ricorda che Velletri  fu distrutta al 90%, e tutto ciò che possedevano   tra le aziende e le case,  fu  distrutto dai bombardamenti e saccheggiato. Loro per i primi mesi post-guerra riuscirono a sopravvivere  grazie  all’aiuto di alcuni parenti che vivevano a Roma,  e  che fortunatamente erano riusciti a salvare almeno la casa.

Roma 29 gennaio 2013, in occasione della Giornata della Memoria alla “Colomba Antonietti”