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martedì 5 maggio 2015

La Violenza sotto ogni forma sull'uomo va combattuta

Cedu e G8 di Genova
La tortura non va in prescrizione
Antonio Bultrini
29/04/2015
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La Corte europea dei diritti dell’uomo si era già occupata di alcuni aspetti del G8 svoltosi a Genova nel 2001. Sull’uccisione di Carlo Giuliani da parte di un carabiniere, sul respingimento dal porto di Ancona di un gruppo di manifestanti greci e sulle zone della città precluse ai manifestanti, la Corte aveva dato ragione al Governo italiano.

Si attendeva dunque il suo intervento su quanto avvenne dopo il vertice, specialmente in occasione dell’irruzione delle forze dell’ordine nella Scuola Diaz-Pertini e poi nella caserma di Bolzaneto, ove furono recluse centinaia di persone.

Il 7 aprile scorso è arrivata la sentenza sul ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, che la sera del 21 luglio 2001 si trovava nella Scuola Diaz-Pertini (insieme ai manifestanti che il Comune aveva autorizzato a trascorrervi la notte).

Come emerge dagli atti giudiziari italiani, le autorità di polizia avevano deciso di perquisire la Diaz-Pertini alla ricerca di prove a carico di appartenenti ai cosiddetti “black block”, accusati di aver partecipato alle violenze verificatesi nei giorni precedenti.

L’operazione di polizia si trasformò tuttavia in un pestaggio brutale e indiscriminato. La Corte d’Appello di Genova ha parlato di comportamento crudele e sadico da parte degli agenti anti-sommossa, che utilizzarono anche manganelli non regolamentari.

Il ricorso a Strasburgo
Cestaro, che all’epoca aveva 62 anni, fu pestato in modo del tutto gratuito (dato che non aveva opposto resistenza e si trovava seduto a terra con le mani alzate) e riportò varie fratture e danni permanenti.

Per mascherare la brutalità dell’operazione furono fabbricate prove false a carico degli occupanti della Scuola, fatto per il quale sono stati poi condannati diversi funzionari di polizia.

Visto che i giudici italiani si erano già pronunciati e che la stessa Corte europea ha riconosciuto la “fermezza esemplare” della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione, perché si è aggiunto l’intervento di Strasburgo?

Premesso che la Corte europea può essere adìta solo dopo l’esperimento dei meccanismi di tutela interni (se potenzialmente efficaci), occorre considerare due aspetti chiave della sentenza:
1) le violenze inflitte al ricorrente hanno costituito tortura (conclusione cui la Corte è giunta sulla base di una giurisprudenza molto articolata; peraltro la stessa Corte di Cassazione aveva già ammesso che le violenze all’interno della Diaz-Pertini potevano essere qualificate come “tortura” ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea);
2) gli agenti responsabili delle violenze subìte da Cestaro sono rimasti impuniti e questo per due motivi: la riprovevole assenza di cooperazione della Polizia al fine di identificare gli agenti responsabili (che avevano agito a volto coperto) e la mancanza di codici identificativi degli agenti. A ciò si aggiunge il fatto che i processi a carico dei (pochi) funzionari e agenti imputati per lesioni sono andati in prescrizione.

La prescrizione è dovuta in particolare all’assenza del reato di tortura nell’ordinamento italiano (tranne il Codice penale militare di guerra): i magistrati italiani hanno potuto applicare solo figure di reato - lesioni personali ancorché aggravate - soggette a prescrizione.

La tortura va contrastata seriamente
Il punto è che la tortura costituisce una violazione dei diritti umani così grave che lo Stato non può limitarsi a risarcire civilmente la vittima, come accaduto con Cestaro (che comunque a Strasburgo ha ottenuto altri 45.000 euro per il danno morale), ma deve sanzionare severamente i responsabili sia in sede penale che disciplinare.

La Corte, in sostanza, chiede all’Italia di introdurre il reato di tortura e di adottare un sistema di identificazione degli agenti in servizio di ordine pubblico (seppure con le cautele necessarie a tutelare la loro riservatezza).

A questo riguardo la Corte di Strasburgo non fa che riprendere gli obblighi già previsti dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite (che l’Italia ratificò nel 1989) e ribaditi dall’omonimo Comitato (il coordinamento della Corte europea con gli strumenti delle Nazioni Unite e con il lavoro del Comitato europeo per la prevenzione della tortura è rimarchevole).

La Corte sollecita inoltre l’esclusione della prescrizione per gli atti di tortura: l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione neutralizza infatti la possibilità di sanzionare con la dovuta severità una violazione gravissima, che esige al contrario sanzioni certe e in grado quindi di svolgere anche una funzione deterrente. È chiaro che questo approccio potrebbe riguardare anche altre figure di reato corrispondenti a gravi violazioni dei diritti umani.

Prossimamente Strasburgo si pronuncerà sui ricorsi relativi alla vicenda della caserma di Bolzaneto. Vista anche la durezza con cui al riguardo si è già espressa la Corte di Cassazione, c’è da aspettarsi un’altra severa pronuncia da parte della Corte europea.

Dopo anni di inerzia il Parlamento italiano sembra finalmente intenzionato quantomeno a varare il reato di tortura (il testo - seppure perfettibile - appena approvato dalla Camera è ora in Senato) ed è biasimevole che l’Italia sia tuttora priva di un’autorità indipendente per la tutela dei diritti umani, chiamata a svolgere anche un fondamentale ruolo di impulso e di consulenza in casi come questo.

La materia è importante sia perché altri gravi episodi del genere, seppure su scala minore, hanno continuato a verificarsi, sia nell’interesse delle stesse forze dell’ordine.

Gli agenti di pubblica sicurezza svolgono un lavoro difficile (e malpagato) ma restano dei rappresentanti dello Stato e gli eccessi di una minoranza rischiano di guastarne l’immagine.

È anche una questione di professionalità, oltreché di umanità: come dimostrano le migliori esperienze europee, quanto più le forze dell’ordine sanno dar prova di misura nell’impiegare la forza (dunque ove realmente necessario e senza violenze gratuite), tanto più possono contare sulla fiducia e la solidarietà di una larga parte dell’opinione pubblica - che per l’Italia, ormai, è anche quella europea.

Antonio Bultrini è professore di Diritto Internazionale e Diritti Umani, Università di Firenze.