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martedì 8 maggio 2012

Presentazione del volume "La Guerra Italiana alla URSS. Le Operazioni 1941-1943"

Prigionieri di Guerra Statunitensi a Roma catturati nella testa di Ponte di Anzio

Si riportano tre fotografie dello sfilemento dei prigionieri di guerra statunitensi catturati nella testa di ponte di Anzio all'inizio del febbraio 1944.
Nel momento in cui il gen Lucas, comandante delle forze sbarcate il 22 gennaio, decise di uscire dalla testa di ponte, dopo essersi rafforzato, i tedeschi attirarono in una trappola i battaglione rangers di punta.
Lo smacco fu grave, in quanto Lucas aveva perso il fattore sopresa ed ogni possibilità di raggiungere Roma















Le foto furono molto sfruttate dalla propaganza nazista, che insistette molto sul fatto che gli Alleati nella sostanza fallirono ad Anzio ed avrebbero fallito ogni qual volta vessero tentato di sbarcare sul continente europeo.

Il Dramma del Confine Orientale

COMUNICATO STAMPA
La Venezia Giulia non può festeggiare il 25 aprile

                Il 25 aprile in tutto il Paese si festeggia la Liberazione dal giogo nazifascista, resa possibile grazie anche al generoso apporto e sacrificio di tanti uomini e donne che, imbracciando il fucile o collaborando nei più svariati modi, aderirono a quella lotta partigiana che combatté per affrancare l’Italia dal servaggio delle dittature nazifascista.
Nella Venezia Giulia, diversamente che nel resto del Paese, in questi giorni del ’45 non vi è stata alcuna liberazione, bensì una terribile e brutale occupazione delle truppe comuniste del maresciallo Tito, ancor più condannabile perché avvenuta a guerra finita e per giunta su cittadini inermi.
            Se non fossero entrate le truppe titine, Gorizia sarebbe stata realmente liberata da quelle neozelandesi (ed allora sì che avremmo festeggiato la liberazione!), che invece furono rallentate dai titini proprio per poter vantare diritti di occupazione al tavolo dei vincitori, che come noto avrebbero voluto occupare la Venezia Giulia sino al Tagliamento.
            Per snazionalizzare rapidamente Gorizia e per soffocare sul nascere ogni tentativo di ribellione dal 2 maggio iniziò il rastrellamento di tutti coloro (furono ben 665!) che potevano rappresentare un pericolo per le aspirazioni annessionistiche di Tito. Tra questi la burocrazia goriziana e chi aveva manifestato con eccessivo entusiasmo la propria italianità. Tra i tanti citiamo anche due noti esponenti della Resistenza non comunista, il socialista Licurgo Olivi e l’azionista Augusto Sverzutti. Alla città di Trieste i famigerati 40 giorni di occupazione jugoslava valsero la Medaglia d’Oro al Valor militare.
            Questo rappresenta per i goriziani e per tutti i giuliani il 25 aprile, e non certo la liberazione, che invece avverrà dopo i cosiddetti “quaranta giorni di terrore”.
Tanto rispettiamo ed onoriamo quei partigiani che combatterono per la libertà, quanto condanniamo quei partigiani che invece combatterono per asservire la Venezia Giulia allo straniero e sanguinario regime comunista titino. Noi crediamo che anche da parte dell’ANPI locale ci debba essere una presa di coraggio, come in altre ANPI italiane, nell’interesse dei tanti partigiani che nulla hanno a che spartire con quei partigiani italiani che, invece, tradirono e vendettero l’Italia ed il popolo italiano, per obbedire agli ordini degli allora vertici comunisti di collaborare con i “fratelli” titini contro gli interessi dell’Italia.
Vogliamo credere che non voleva essere una provocazione, peraltro di pessimo gusto, l’immagine promossa dall’ANPI di Gorizia, proprio di un partigiano italiano che abbraccia il “fratello” titino, quel fratello che ha le mani macchiate del sangue dei goriziani e lo stesso fratello che voleva occupare Gorizia, anziché liberarla!
            Rispettiamo pertanto i sentimenti di tutti coloro che, in diversa misura, hanno subito torti o violenze dai regimi. In primo luogo la comunità ebraica, che ha pagato duramente con milioni di vittime la ferocia dell’uomo sull’uomo. Ma anche la comunità slovena, che ha subito tentativi di snazionalizzazione in questa area di confine, anche con inammissibili atti di violenza e soprusi. Siamo vicini e solidali con queste vittime e le loro famiglie.








            Rispettiamo tutti coloro che individuano nel 25 aprile la festa della liberazione, ma parimenti va rispettato anche chi associa il 25 aprile non già ad una liberazione, bensì alla brutale occupazione comunista.
Cogliamo l’occasione per precisare che oggi la guerra non la si combatte solo con le armi da fuoco, ma anche con lo strumento dell’informazione, che diventa arma se brandita per meri fini politici e personali. Mi riferisco a quelle forme di negazionismo (chi negava addirittura che le foibe fossero esistite, oggi cerca di insinuare che anziché quindicimila vittime innocenti siano state gettate nelle foibe ”solo”alcune centinaia di persone, peraltro fascisti o collaborazionisti!) con cui si legittima e si incita alla violenza, configurando, a mio avviso anche una apologia di reato. Chi oggi vorrebbe giustificare le foibe con le violenze fasciste consumate venti anni prima, conseguentemente inciterebbe le decine di migliaia di discendenti delle vittime delle foibe a farsi giustizia da sé. Ma così non deve essere, né oggi né mai! La violenza deve essere sempre condannata!
La guerra voluta dai regimi nazista e fascista, che hanno trovato nel regime comunista di Tito una sanguinaria e brutale strumento di oppressione, hanno due grandi vittime: il popolo istriano, fiumano e dalmata, che è stato costretto ad abbandonare la propria terra, lasciando tutti i propri beni, con cui l’Italia ha pagato i debiti di guerra, non avendo ancora risarcito gli esuli e la comunità di lingua slovena, per questa ragione oggetto di inaccettabile violenza.
Dobbiamo ricordare e rispettare il dolore patito da chi ci ha preceduto, ma promuovere ogni azione possibile per superarlo, nell’interesse dei nosri figli e di un confine orientale che ambisce alla….normalità.



                                                                                                 Il Presidente
                                                                                              Rodolfo Ziberna