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sabato 29 marzo 2014

Un Museo a Berlino: la documentazione della costruzione del genocidio

Berlino: come non si dimentica:

Topography of Terror
Gestapo, SS and Reich Security Main Office
on Wilhelm and Prinz –Albertcht strasse

A Documentation


Il dibattito sulla Memoria dell’Olocausto e della inumana vicenda dei campi di concentramento tedeschi, e più in generale gli eventi drammatici che hanno segnato gli anni della guerra 1940-1945 in Italia non può non prescindere dalla volontà che si ha nel voler preservare la memoria stessa. Se la Pubblica Opinione è ferma nel voler ricordare quei drammatici avvenimenti e presentarli alle future generazioni,allora si ha un tipo di memoria preservata; se invece si fa di tutto per cancellare ogni traccia di quei avvenimenti, allora si ha un altro tipo di memoria. In altra parte di questa rivista si dibatte questo concetto.

      


Un esempio del primo approccio, cioè della ferma volontà di ricordare, senza se e senza ma, senza giustificazioni o cessioni di sorta, è dato dal  centro documentale denominato “Topografy of Terrore) , la Topografia del Terrore, a Berlino. E una delle cose più interessanti da visitare a Berlino, per comprendere come I Tedeschi di oggi cercano di far passare un passato che non passa: quello che è sta la grande tragedia del  Nazismo e della degenerazione del nazionalismo dal 1933 al 1945. Una precisa, puntuale e leale ricostruzione di quegli anni si trova in un Museo, che porta i nome di “Topography of Terror”, che in italiano possiamo molto facilmente tradurre in “Topografia del Terrore”.  La costruzione è molto semplice, un cubo, vetro e cemento estremamente moderna, funzionale. Ma la sua posizione è estremamente significativa: al centro ove sorgevano negli anni del terrore gli edifici che ospitavano Il Capo delle SS del Reich e Capo della Polizia Tedesca nel Reich- Ministero dell’Interno, il Capo della Polizia di Sicurezza e  dello SD, ed altri edifici che ospitavano lo Staff dell’Organizzazione di Sicurezza tedesca.

Non ci sono  oggetti, reperti, o altro, nessuna fonte materica  in questo museo: solo fotografie con didascalie in tedesco ed in inglese; sembra che sia stato costruito più per i tedeschi che per un visitatore straniero. I comparti in cui si articola il museo sono:
-          la Presa del potere da parte del nazionalsocialisti
-          Le Istituzioni del terrore
-          Terrore, Persecuzione e Sterminio sul Territorio del Reich
-          Le SS e La Polizia di Sicurezza del Reich nei territori occupati
-          La fine della guerra  e il dopo guerra
-          Il sito del Terrore dopo il 1945
Il visitatore non è chiamato a prestare attenzione da questo o quel’oggetto; non vi sono nel linguaggio museale elementi che catturano l’attenzione con effetti speciali, nemmeno normali. Il visitatore viene prima inviato ad iniziare il percorso espositivo e poi, quasi immediatamente viene catturato da ciò che vede. Come quando si legge un libro avvincente, il linguaggio museale cattura il visitatore che inizia a prendere atto e conoscenza di che cosa è stato il nazismo in Germania e non solo in Germania. Non vi sono giudizi, ne positivi ne negativi, ma solo oggettività, esposizione di fatti attraverso il linguaggio fotografico, documentale e didascalico. Ed emerge la verità nella sua reale dimensione, a volta crudele, a volta orripilante, a volte devastante, sempre chiara e precisa e lineare.


Come i Tedeschi oggi abbiano fatto a costruire un luogo della memoria come questo è un caso tutto da studiare. In effetti il visitatore, prendendo atto di quello che è stato il nazismo dal 1933 al 1945, non può non formulare un pesantissimo giudizio sulla Germania e sul popolo tedesco per quando dolore abbia procurato prima a se stesso poi agli altri popoli europei. Ed avere avuto la forza di documentarlo è un merito che noi Italiani dobbiamo imitare. Avere avuto questa forza, affrontare il problema nella sua realtà, significa iniziare risolverlo a superarlo, affinchè poi tutto questo non si rinnovi in un futuro più o meno lontano. Un uomo vincente affronta e risolve i problemi, un uomo perdente giustifica ogni cosa. Così un popolo: avere avuto la forza e la volontà di presentare e costruire in questi termini, al cento di Berlino, questo Museo è il primo passo per fronteggiare un passato terribile, un passato che non passa, un passato come il 12 anni che il nazismo è stato al potere in Germania, una macchia nera su tutto un popolo.

Un esempio della forza documentaria del linguaggio di questo Museo, e la forza della memoria, è  riportata dalle foto a seguito, colte dal catalogo; la umiliazione pubblica inflitta a chi non era nazista, la propaganda contro gli ebrei, e infine, l’ultima, foto, quasi un atto d’accusa al popolo tedesco in tema di consenso al Nazismo: in una tribuna di operai, uno solo, un operaio solo, ha il coraggio di mostrare il suo dissenso; tutti gli altri sono a braccio teso nel saluto nazista.







Massimo Coltrinari: prigionia@libero.it

mercoledì 26 marzo 2014

Aprilia: Associazione "Un ricordo per la pace". UNa bella iniziativa di Elisa Bonacini

Si è svolto nella scuola apriliana un emozionante appuntamento per non dimenticare

Ennio Borgia, sopravvissuto al campo nazista di Dachau, ha incontrato gli studenti dell’IstitutoGramsci di Aprilia, in particolar modo le classi terze. Borgia è, probabilmente, l’ultimo dei sopravvissuti italiani al campo nazista.
Ennio Borgia, che aveva già partecipato ad un incontro analogo con i ragazzi dell’Istituto Gramsci nel gennaio 2012, è stato accompagnato anche questa volta da Elisa Bonacini, presidente dell’Associazione “UN RICORDO PER LA PACE”, che è intervenuta raccontando alcuni particolari inediti della storia di Borgia.  Nel 2011 aveva raccolto la sua toccante testimonianza in un video, dal titolo “Ennio Borgia n°69791- Un sopravvissuto a Dachau”. La proiezione del video è stata seguita con grande attenzione dai ragazzi che poi gli hanno rivolto numerose domande.
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Il campo di Dachau, il primo del suo tipo,  aperto solo un mese dopo in cui Hitler prese il potere, contava più di 200.000 detenuti e quasi 32.000 vittime. Ennio Borgia, ha raccontato ai ragazzi l’esperienza della sua prigionia, di come nel febbraio del 1944 mentre cercava di raggiungere il fratello nel torinese, si trovò nel mezzo di uno scontro tra avieri della Repubblica Sociale ed un gruppo di patrioti monarchici. Nella fuga si unì ad un gruppo di partigiani fino a quando venne catturato dalle SS durante un rastrellamento e deportato nel lager di Dachau (vicino Monaco di Baviera). I detenuti del campo di Dachau, tra cui Ennio Borgia, vengono liberati nel 1945, con la fine di una delle tante drammatiche esperienze del periodo.
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Non bisogna mai dimenticare quanto sia importante ricavare nel nostro quotidiano un momento per riflettere su uno dei crimini più atroci dell’umanità, suggellato anche nella normativa italiana con la Legge 20 Luglio 2000 n. 211 intitolata “Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Sterminio avvenuto si in tempi recenti, ma purtroppo sempre più lontani dalla nostra memoria.
L’incontro di Ennio Borgia con i ragazzi, dall’alto valore educativo, è stato realizzato grazie alla disponibilità del Dirigente scolastico Dott. Maria Nostro e della Vice Preside Elena Ciriaco.
Teresa Fontana


Presentazione a Tarquinia

La recensione del volume sarà presentata quanto prima

lunedì 17 marzo 2014

Un problema sempre aperto: Memoria e Negazionismo

Dibattito sulla memoria
Come negare il negazionismo?
Gabriele Della Morte
12/03/2014
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Come negare il negazionismo? Come assicurare che la memoria dei giorni più drammatici sia al riparo da offese, oggi, attraverso internet, sciaguratamente alla portata di tutti? È questa una domanda molto delicata alla quale l’Italia - come altri paesi - ha cercato di fornire una risposta: dapprima nel 2007, e quindi in tempi più recenti, attraverso tre progetti di legge (cfr., rispettivamente, i d.d.l. 8 ottobre 2012 n. 3511; e 15 marzo 2013 n. 5416 ottobre 2013 n. 54-A).

Divieto di oblio
Il tentativo è quello di dare attuazione alla decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea del 28 novembre 2008 con la quale si domanda agli stati membri dell’Unione di impegnarsi a tutelare penalmente l’interpretazione dei fatti più drammatici, avvenuti e da venire. Il tema è però complesso: ammesso e non concesso che esista un divieto di oblio, è possibile dedurre da quest’ultimo un obbligo del ricordo?

Certamente quando uno Stato istituisce - come ha fatto anche l’Italia - una giornata della memoria, si ricorre a una legge per assicurare che talune narrazioni non sfumino con il tempo. Anche solo l’approvazione di simili leggi non manca però di sollevare polemiche.

Così, nonostante il fatto che la data scelta dalla legge italiana per celebrare la giornata della memoria sia quella, simbolica, dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, nel testo manca ogni riferimento alle parole “nazismo” o “fascismo”, mentre si richiamano “coloro che, anche in campi e schieramenti diversi [sic!], si sono opposti al progetto di sterminio”.

Inoltre, introdurre un reato significa spingersi oltre, sino a permettere il ricorso ad una sanzione che contempli la reclusione per la difesa di un bene ritenuto meritevole di questo tipo - estremo - di tutela. Eppure, qual è il ‘bene’, in questo caso? L’ordine pubblico o la memoria storica? Un’adeguata problematizzazione si rivela, più che opportuna, necessaria.

Storici, giudici e legislatori
A uno sguardo attento si ravvisano diversi nodi irrisolti nei progetti di legge presentati . Il primo di questi concerne la (necessaria!) distinzione tra lo storico, il giudice e il legislatore, tre figure deputate a svolgere funzioni ben diverse. Si tenga presente quanto segue: quello che i tre progetti di legge omettono, e che al contrario avrebbe meritato di essere specificato, è ‘chi’ avrà il potere di accertare un reato di negazionismo. Se fosse il medesimo legislatore, ci si potrebbe legittimamente domandare in cosa consista l’operazione - appunto - di accertamento giudiziario.

E che la questione non rappresenti un’elucubrazione teorica è dimostrato dal fatto che il Conseil constitutionnel français ha sancito, con una decisione del 28 febbraio 2012, l’incostituzionalità di una disposizione francese che considerava ‘innegabili’ i soli genocidi certificati dalla legge.

Diversamente, se fosse un giudice a dovere accertare quando una condotta configura uno dei reati per i quali si applica il divieto di negazionismo, occorrerebbe specificare innanzitutto se debba trattarsi di un giudice ‘interno’ oppure ‘internazionale’. Nel primo caso, ci si potrebbe domandare con quale cognizione di causa un magistrato interno possa giudicare un fatto lontano anni e chilometri; nel secondo, si porrebbe la questione del ‘se’ esista un giudice internazionale competente nel caso specie: com’è noto, data la natura essenzialmente arbitrale della funzione giurisdizionale in diritto internazionale non tutte le violazioni hanno ‘diritto’ a un giudice.

Libertà di pensiero e d’espressione
In aggiunta, non può essere taciuto l’attrito che l’introduzione di un simile reato determina in rapporto alla libertà di pensiero e d’espressione. Ancora non può essere sottovalutato ‘l’effetto megafono’: i negazionisti che, a oggi, sono stati condotti in tribunale hanno trovato nelle aule di giustizia innanzitutto una tribuna per diffondere le proprie tesi.

E infine, sotto un profilo internazionalistico, ci sembra opportuno ricordare che la decisione del Consiglio dell’Unione europea richiamata in precedenza si differenzia alquanto dai progetti oggi discussi dal legislatore italiano. Infatti, la pena stabilita dalla decisione del Consiglio “reclusione da uno a tre anni” (art. 3, par. 2), è più lieve di due anni rispetto a quella richiesta dal legislatore italiano, che nell'ultima proposta giunge a prevedere una reclusione da uno a cinque anni. E ancora, l’elemento di pericolo è più marcato: l’art. 1, par. 1 lett. d, della decisione si riferisce a condotte idonee “a istigare alla violenza o all’odio”.

D’altra parte, se si osservano comparativamente le legislazioni nazionali che si sono dotate di simili strumenti, è difficile scorgere un indirizzo unitario, e di tale difformità sono testimoni le Corti costituzionali e gli organi internazionali di tutela dei diritti umani che hanno mutano in diverse occasioni orientamento. Da ultimo, si consideri quanto asserito dalla Corte europea dei diritti umani nei due casi Garaduy c. Francia (decisione del 24 giugno 2003) e Perinçek c. Suisse (sentenza del 13 dicembre 2013).

Oltre l’olocausto 
A dieci anni di distanza si è passati dal ritenere legittima una condanna per negazionismo al suo contrario. Se nel primo caso si è trattato di olocausto, nel secondo si è dibattuto del genocidio del popolo armeno. È anche questo un tema sul quale riflettere approfonditamente: è possibile limitare la protezione offerta dal negazionismo al solo olocausto?

Due rischi si palesano, al riguardo. Il primo, di carattere formale, concerne il fatto che la decisione-quadro anzidetta concerne anche fattispecie minori (si pensi ai ‘crimini di guerra’, che si estendono sino al saccheggio). E il secondo, di tipo sostanziale, concerne il rilievo per cui un reato siffatto rappresenterebbe l’espressione di un diritto penale simbolico, de-attualizzato e volto a ‘custodire la storia’. Ma la storia non passa, tanto meno in giudicato (giacché - come insegnano gli storici - non è possibile ‘fare storia’ senza anche ‘fare la storia’). A chi giova tribunalizzarla?

Gabriele Della Morte è ricercatore confermato in diritto internazionale presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università Cattolica di Milano.
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sabato 15 marzo 2014

Mostra "Il Gran Rifiuto": un significativo riconoscimento


Pervenuta da Cesana, pubblichiamo la lettera che il Gen. De Vita 
 Comandante Militare dell'Emilia Romagna
ha inviato a Daniele Vaienti in merito alla Mostra