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sabato 30 maggio 2020

Per il mondo ebraico, festa di Shavuot

la sera di giovedì 28 maggio inizia la festa di Shavuot che termina il 30 maggio in corrispondenza del 6 e 7 del mese ebraico di Sivan e celebra il momento in cui gli ebrei ricevettero la Torà.

Shavuot significa "settimane" e cade esattamente sette settimane dopo Pesach, la festa che ricorda la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. Il periodo tra le due ricorrenze, contrassegnato dal conteggio dell'omer (la benedizione in ricordo della misura d'orzo che si offriva presso l'antico Tempio di Gerusalemme), è vissuto con profondo coinvolgimento e rappresenta una fase di elevazione spirituale in preparazione della rivelazione della Torà.
Durante Shavuot vengono celebrati i valori universali dei Dieci Comandamenti, strumenti alla base dell’etica di ogni uomo e ogni donna.
Il dono ricevuto viene festeggiato ogni anno con la stessa gioia ed intensità: è uso infatti decorare con tantissimi fiori le sinagoghe come simbolo della fioritura improvvisa del Monte Sinai e dello straordinario profumo che si diffuse durante il momento della rivelazione della Torà.
Quello da Pesach a Shavuot è un vero e proprio cammino in cui progressivamente ci si libera interiormente dalla schiavitù per essere in grado di ricevere le regole di comportamento che permettono di convivere pacificamente e in armonia.  La festa coincide con il momento di maturazione spirituale in cui si è pronti godere pienamente della libertà nel suo vero significato.

Shavuot è chiamata anche Hag ha-Qatsir, Festa della mietitura e Yom ha-Bikkurim, Giorno delle primizie, esso era infatti il primo giorno in cui si potevano portare in offerta all'antico Tempio di Gerusalemme le primizie di frumento, orzo, fichi, uva, melagrane, olive e datteri; le sette specie per le quali si loda la Terra di Israele.  Fa parte con Pesach (la festa della primavera e della rinascita della terra) e Sukkot (la festa del raccolto) degli Shalosh Regalim, i tre pellegrinaggi che si facevano per giungere al Tempio di Gerusalemme.  
Shavuot è una ricorrenza fatta di sapori e profumi, un’occasione nella quale si rinnova il forte legame tra ebraismo e natura,  come racconta questo video del MEIS facendovi visitare il Giardino delle domande che riapre al pubblicogiovedì 28 maggio (qui tutte le info).

Durante la festa si legge il Libro di Ruth dedicato alla storia dell'omonima donna moabita, vedova del marito ebreo, che nonostante la fede religiosa diversa decise di convertirsi, abbandonare tutto e seguire la suocera Noemi in Terra di Israele dove sposò Boaz.
“Ti seguirò ovunque tu vada” disse Ruth a Noemi, divenendo il simbolo di uno dei più toccanti sodalizi femminili.
Il ruolo di Ruth nella storia ebraica è particolarmente emblematico: non solo pone al centro il ruolo cruciale delle donne nell’ebraismo celebrandone il coraggio e la caparbietà, ma racconta la vicenda di una donna convertita, non ebrea per nascita. È allora significativo che proprio dalla stirpe a cui dà vita Ruth discenderà David, uno dei re di Israele.
Il Libro di Ruth viene letto a Shavuot proprio perché l'ambientazione della storia coincide con il periodo della mietitura e la donna si impegnò nel lavoro dei campi in prima persona facendo la spigolatrice. È però anche una delle storie che riflettono l’importanza della trasmissione dei valori di generazione in generazione (midor le dor) e dei rapporti interpersonali.

Nelle comunità ebraiche italiane è tradizione celebrare proprio durante Shavuot il bat-mitzvà, la maggiorità religiosa, delle ragazze di dodici anni che attraverso questo rito di passaggio entrano nell'età adulta. Alcuni inoltre usano trascorrere tutta la notte a studiare Torà e consumare un pasto a base di latticini;  spiegano infatti i maestri che come il latte per un neonato è un alimento completo, così il popolo ha recepito la Torà come una legge compiuta e autorevole. 

Chag Shavuot Sameach, Felice festa di Shavuot.
Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS
Via Piangipane, 79/83 - 44121 Ferrara (Italia)

mercoledì 20 maggio 2020

Hitler e l'Occultismo 2 Parte

 di Alessa Biasiolo                                                                                                                                          Durante i mesi di prigionia di Hitler, malgrado egli non fosse d’accordo, al suo partito si unirono i nazionalsocialisti, quindi, tornato in libertà, fondò il nuovo NSDAP al quale, nel 1927, si uniranno anche i nazionalsocialisti austriaci. Chiamato dal presidente Hindenburg alla carica di Cancelliere del Reich il 30 gennaio 1933, proprio Hitler aveva ridato alla Germania la speranza della restituzione del legittimo statuto, riportando al Paese quell’idea di ordine e di controllo delle situazioni che era tipico nei tedeschi del tempo, un ordine “giusto” senza cui non sarebbe stato possibile ristabilire i diritti di ragione dopo un trattato di Versailles così penalizzante per il popolo tedesco. La sorta di patto mistico che legò la Germania di Hitler nel Führerprinzip, fu l’espressione del profondo bisogno di un’intera generazione, identificato nel recupero del padre assente dalla casa per quattro anni e che era stato vinto. Hitler aveva costantemente sostenuto che quel padre umiliato, eroe nazionale tradito e venduto a potenze straniere da fantomatici nemici, soprattutto ebrei internazionali, ora, per l’inconscio collettivo dei figli di Germania diventava un mito politico degno di ogni sacrificio, perché permetteva di vendicarne l’onore e di riottenere per sé e per la Germania intera, passata e presente, l’onore perduto. Una sorta di ritorno all’infanzia ferita, più che un camminare verso la patria adulta. La stessa violenza perpetuata dai nazionalsocialisti sembra vertere a testimoniare a favore di un’immaturità preoccupante, che necessitava di rivincita, riconquista di sé, di certezza di essere degni di vivere, degni dell’essere tedeschi stesso. La stessa omosessualità così combattuta, negata, uccisa, era di fatto diffusa nei circoli dirigenti del partito nazionalsocialista, nelle Sezioni d’Assalto, tra Röhm e alcuni accoliti, tanto che divenne necessario uccidere Van der Lubbe, il preteso incendiario del Reichstag, assassinato infatti nel 1933 in Austria perché in possesso di documenti compromettenti non solo su Röhm, ma anche su altri capi nazisti. La pratica di santificare il capo, di chiedere che Hitler fosse visto come un padre da tutti, soprattutto dagli antinazisti, era pratica comune per creare e mantenere un mito necessario, non tanto per il popolo tedesco, ma in primis proprio per gli uomini del partito. Fu facile sfruttare il difficile momento di crisi attraversato dalla Germania all’indomani della terribile crisi di Wall Street che aveva riportato il Paese nella vergogna, nell’onta, nel terrore dell’umiliazione ancora, quando mancava il cibo e si vedevano svanire i sogni di risurrezione, non già al paradiso che fu nazista, quanto da quell’incubo che era sembrato senza fine all’indomani di Versailles. Il nazionalsocialismo aveva adeguatamente sfruttato la crisi, la nomea di tirchi dei banchieri ebraici ma, soprattutto, aveva giocato con le coscienze a proposito del rinnovato complotto ebraico contro la Germania, la sua evidente potenza e il suo diritto di dominare il mondo in nome della razza ariana. L’imperialismo, che gli storici concordano di fare finire con il 1914, di fatto non poteva sparire così facilmente, soprattutto per una nazione che, affacciatasi tardi per problemi interni sullo scenario colonialista/imperialista, voleva appropriarsi di quelle colonie, di quegli accordi commerciali che potevano garantire lavoro, prestigio, denaro. Ancora una volta umiliata, la Germania trovava in un discorso politico come quello di Hitler e dei suoi, convincenti argomenti per votare il partito, come avvenne. Il vuoto percepito dalla Germania dal 1918, era stato vissuto come una catastrofe inspiegabile per un popolo che non  aveva subito alcuna disfatta sul proprio territorio nazionale. L’idea del complotto internazionale era pertanto l’unica spiegazione plausibile per una forma mentis che tendeva alla ragione, all’ordine, alla spiegazione dei fatti con ragionamenti logici e plausibili. A questo si aggiunge il mito del Terzo Reich. Secondo alcuni Autori, il mito origina come evoluzione di antiche credenze, soprattutto alla luce del fatto che molte formule della propaganda nazista sembrano assurde, ma acquisiscono un’altra luce, di un certa logicità, se inserite nella corrente dell’ottica del nazionalismo, non un vago patriottismo che si genera in un periodo di crisi,  quanto una dottrina integrale che si sforza di prendere in esame tutti i problemi materiali, ma soprattutto morali e spirituali della nazione che viene considerata come qualcosa di assoluto, un valore supremo. Tutto questo venne considerato nella prospettiva ideologica del nazionalismo che finì per diventare una sorta di religione, mentre la nazione assumeva i contorni di una realtà mistica e mitica. Fu proprio in quest’ottica mito politica che nacque il concetto, e forse la necessità, del Terzo Reich. La parola Reich è di origine celtica ed è carica di significato religioso e sacro. Essa evoca potenza, sogni di grandezza. È una parola che si trova nella Bibbia (Regno), ricorda i sogni di una città di Dio diventata realtà grazie a Carlo Magno e Federico Barbarossa. Il termine Reich evoca le cattedrali lungo il Reno, le Gilde di Norimberga, i cavalieri teutonici, Lutero al Reichstag, a Worms. Ha una sorta di potere magico. Cohn ha legato le sue fonti ad una tradizione apocalittica molto antica, una specie di ossessione nella visione del mondo contemporaneo. Per i nazionalsocialisti chiunque cercava di opporsi ai loro progetti di dominazione era infettato dallo Spirito giudeo, era un agente della cospirazione mondiale degli ebrei, compresi Churchill, Stalin e Roosevelt o qualunque sacerdote cattolico o pastore protestante.
Ciascuno degli adepti del partito era investito della missione di condurre la Storia al compimento prestabilito e queste pretese influenzarono i gruppi che facevano a loro capo. Anche i discepoli, quindi, avrebbero riscattato la loro condizione e avrebbero preso parte alla missione di riscattare la Germania e il mondo. Sembra che questo sogno abbia incantato migliaia di persone. Premesse millenarie si stavano concretizzando. Hitler fu considerato dai suoi seguaci un Messia che avrebbe rinnovato ogni cosa e che avrebbe stabilito per mille anni (com’ebbe egli stesso a dire) un impero in cui il sangue ariano, che era la sostanza stessa della divinità incarnatasi nella solo razza germanica (come sosteneva Rosemberg), avrebbe imposto alle razze inferiori e considerate sub-umane, una servitù fondata sulla natura stessa dei signori predestinati a stabilire il loro dominio sul mondo. La visione nazionalsocialista era ossessionata dal ruolo di salvatore, una sorta di incarnazione divina per liberare la comunità ariana dal “mostruoso” pericolo dell’Ebraismo mondiale. Leggiamo infatti nel Mein Kampf: “Se l’Ebreo, con l’aiuto della sua dottrina marxista conquista i popoli della terra, il suo trionfo sarà la danza macabra dell’umanità, e questo pianeta sarà nuovamente privo di tutti gli esseri umani, per tutto il tempo che navigherà nell’etere, come avvenne milioni di anni fa… Perciò sono convinto che agisco oggi secondo la volontà del Creatore onnipossente. Opponendomi all’Ebreo, conduco la battaglia di Dio”.
Per dare a questo delirio una senso di razionalità, bisognava diffondere documenti sensati. Così, vennero diffusi in milioni di esemplari i documenti intitolati “I Protocolli dei Savi di Sion” che parlavano del piano universale di conquista ebraica. Messi per iscritto a Basilea nel 1897, questi piani erano stati redatti da un gruppo di iniziati ebrei che, agendo segretamente, sarebbero stati tanto pazzi da mettere tutto nero su bianco. In realtà, si tratta di un falso storico, fabbricato alla Biblioteca Nazionale di Parigi su ordine del capo della sezione esteri della polizia segreta zarista, Okhrana, generale Rachkovsky. Il libro, incorporato in altri testi in buona fede, venne adottato da alcuni ufficiali russi ortodossi fanatici, appartenenti alla Confraternita di San Michele Arcangelo, come prova satanica della congiura del Dragone dell’Apocalisse e dei suoi complici Ebrei contro la cristianità. Questi russi trovarono rifugio in Germania dopo i fatti del 1917, e fecero conoscere ai nazionalsocialisti  “I Protocolli dei Savi di Sion”. La propaganda tedesca, appunto, li distribuì in tutto il mondo creando un mito di ebrei che volevano controllare tutto il mondo, compresa la Chiesa cattolica, identificando gli Ebrei alla Framassoneria, in modo da rendere odiosi alla popolazione gli uni e l’altra. Alla base della politica nazista, quindi, ci sarebbero questi presupposti che costituiscono un errore politico militare senza precedenti, causa di un immane dispendio di forze tedesche e dell’eliminazione di milioni di persone innocenti, oltre alla volontà di sopprimere definitivamente ideali liberali e universali, così contrari al razzismo e all’arianesimo. La dottrina hitleriana si impose ai suoi adepti come un mezzo per non fermarsi, come una forma di “via dei samurai” che portasse a scrollarsi di dosso la rigida moralità giudeo-cristiana. Arrivarono ad affermare, negli insegnamenti ai giovani, che “Se vedi Cristo sulla tua strada ed egli ti ferma, uccidi Cristo”, modo per cercare di fare del capo un modello senza alcuna censura della coscienza morale, per agire d’impulso, d’istinto, senza freni, come vedremo in molte occasioni ai danni di altri esseri umani. Secondo alcuni autori, il nazismo non ha annegato la coscienza individuale in una super-coscienza nazionale di ispirazione divina trascendentale, ma in una infra-coscienza delle pulsioni, con un’obbedienza cieca a ordini umani contingenti, senza mai poter giustificare un simile sacrificio. Illudendosi di realizzare il superuomo, nella distorsione puramente nazista, la politica hitleriana ha costituito la più implacabile politica di condizionamento mito politico della storia occidentale. (continua con l'ultima parte  con post in data 5 giugno 2020)



martedì 5 maggio 2020

Alberto Trionfi. ucciso a Kusnica il 28 gennaio 1945


Presentato da

l’ A.N.E.I. Associazione Nazionale ex Internati nei Lager nazisti presenterà  alla Casa della Memoria e della Storia il libro

Un crimine di guerra mai risolto
L’assassinio del generale Trionfi ed il carteggio Wiesenthal

di Elena Albertini e Maria Trionfi

Edizioni Chillemi

Relatore  Orlando Materassi -  presidente nazionale dell’A.N.E.I.


Presentazione del libro della prof.ssa Elena Albertini e della dott.ssa Maria Trionfi “Un crimine di guerra mai risolto – L’assassinio del generale Trionfi ed il carteggio Wiesenthal, Edizioni Chillemi. La giustizia non  ha confini né di luogo né di tempo. Questo testo elabora i decennali tentativi di Maria Trionfi nella finalità di ottenere giustizia per l’assassinio del padre Alberto, avvenuto a Kusnica Zelichowaska, Polonia, il 28 gennaio 1945. La vicenda si implementa anche dell’impegno di Simon Wiesenthal, abile cacciatore di nazisti, a cui la figlia Maria si rivolse per rintracciare chi durante il secondo conflitto mondiale commise il crimine di guerra, a tutt’oggi rimasto irrisolto. Particolare attenzione storiografica deve essere attribuita all’inedito carteggio tra Maria Trionfi e Simon Wiesenthal, contenuto nel libro, come per altra documentazione inerente ai fatti narrati.  Saranno presenti la scrittrice Marina Regno Mandri, autrice della prefazione, e la presidente della sezione di Roma dell’ANEI, Anna Maria Sambuco.

 Alla
Casa della  Memoria e della Storia – Via S. Francesco di Sales, 5 00165 (traversa di Via della Lungara) – telefono  06 683001203
email: info@anei.it