Difficoltà per una
memoria condivisa
Non saranno
sufficienti quattro articoli di legge per creare una memoria condivisa. Tutto
ciò che è condiviso, deve essere, per sua stessa definizione, condiviso da
tutte le parti coinvolte; altrimenti è una sopraffazione, una violenza, una
imposizione.
L’equiparazione dei combattenti della Repubblica Sociale
Italiana ai Combattenti per la Libertà, è una dei tanti tentativi di voler
creare una memoria condivisa “artificiale”, di facciata, frutto di speculazioni
politiche e di un passato che non passa.
Basti pensare a quelli che a suo tempo, non aderino alla
Repubblica Sociale Italiana, ma furono considerati collaboratori e
fiancheggiatori dei repubblichini: costono rientrano o non rientrano nel
paniere? I repubblichini prima aderenti poi espulsi ( i disertori della prima
seconda e terza ora) entrano o non entrano nel paniere della equiparazione?
E viceversa:
coloro che non vollero entrare nelle fila dei Combattenti per la Libertà, per
diversi motivi, (ad esempio gli ex monarchici) ma combatterono i repubblicini
ed i tedeschi: entrano o non entrano nel paniere. E gli autonomi? E coloro che
considerano ancora una vergogna aver preso le armi contro i tedeschi e i
repubblicini per difendersi dalle loro violenze, rientrano o non rientrano nel contesto in
esame.
In realtà siamo di fronte ad una bella macedonia mista di
ignoranza, non conoscenza, miti e leggende metropolitane, slogans, frutto di
una volontà volta a far passare un passato che, essendo troppo brutto,
intrasmissibile, non si riesce ad accettare e far accettare.
La strada per una memoria condivisa
E’ molto tempo che cerchiamo di descrivere una “Road Map”
che ci porti ad una memoria condivisa ed abbiamo elencato alcuni punti
propedeuci che occorre chiarire per poi iniziare a costruire questa memoria.
Primo approccio propedeutico: Una memoria condivisa tra
chi? Naturalmente tra gli Italiani che, dal 1943 al 1945 furono coinvolti nella
guerra di Liberazione.
Si possono creare due gruppi: da una parte i soldati del
re, Partigiani e Patrioti, Internati in Germania non aderenti, combatteti
all’estero nella fila dei movimenti di resistenza locali, prigionieri degli
Alleati da una parte e, come secondo
gruppo gli aderenti alla coalizione Hitleriana dall’altra: tra questi coloro
che entrarono nelle fila dell’esercito tedesco e quelli che aderirono alla
Repubblica Sociale Italiana ed altre categorie minori. Tra queste categorie
occorre creare una memoria condivisa da cui partire per avere una soluzione
accettata da tutti.
Per il primo
gruppo il problema della memoria consdivisa è stato risolto: ormai è accettato
il principio della guerra di liberazione, intesa come una guerra su cinque
fronti, di cui abbiamo ampiamente parlato anche su queste pagine.[1]
Per il secondo gruppo il problema è aperto.
Per gli Italiani che entrarono nelle fila dell’esercito
tedesco (gli esempi sono tanti, basti dire che Praga fu difesa nei primi mesi
del 1945 fino alla sua caduta da oltre 4000 italiani) l’approccio è chiaro:
essi giurarono fedeltà al Fuhrer ed erano integrati perfettamente nella
macchina nazista. L’unico punto da condividere è il fatto che erano Italiani;
con le attenuanti delle circostanze del caso, ma è difficile trovare altra
memoria condivisa. Essi fecero una scelta precisa: accettarono il regime
nazista e per esso combattrono e tanti morirono. Voler condividere una memoria
storica con loro significa accettare il nazismo nella sua fase finale, quella
della Guerra Totale e della Conferenza di Wansee. Ovvero la soluzione finale al
problema ebraico.
Il tavolo è aperto
per approfondire la questione.
Per gli Italiani che aderirono alla Repubblica Sociale
Italiana, occorre affrontare alcuni aspetti propedeutici, che in rapida sintesi
sono:
. Il 25 Luglio 1945 nessun fascista corse in aiuto di
Mussolini, o combattè per salvare il Regime e il Movimento dei Fasci. Che cosa
vuol dire questo: secondo molti autori che il fascismo come regime e come
movimento aveva concluso il suo ciclo vitale, iniziato nel 1919, affermatotosi
con la violenza nel 1922 e rafforzatosi con leggi liberticide dopo il delitto
Matteotti nel 1925.
. La Repubblica Sociale Italiana fu fondata da 15
Italiani con a capo Mussolini il 23 settembre 1943 alla Rocca delle Caminate,
con l’intento di dare vita, in modo rivoluzionario ed antistatale, ad uno Stato
completamente diverso da quello Italiano, che lo stesso Mussolini aveva
governato per 20 anni. Il Manifesto di
Verona (11 Punti) disegna uno stato fascita, rivoluzionario, sociale, che è
l’antitesi dello stato democratico, atlantico, liberale. Il potere è assunto
dall’ala estremista dell’ex Partito Nazionale Fascista, che non tollera al suo
interno alcuna possibilità di dialogo non solo con le correnti moderate e
conciliative fasciste, ma con il Regno del Sud ( Il re e Badoglio considerasti
veri traditori della Alleanza con la Germania) e il movimento partigiano
espresso dai C.N.L:, bollati come traditori e nemici ed antiitaliani. L’11
Gennaio 1944 a Verona vengono fucilati quei esponenti fascisti che tentarono
una mediazione tra le tesi moderate e riformiste del fascismo e quelle
estremiste.
. Adesione totale ai programmi e alle finalità della
Germania Nazista, in tema di guerra totale, leggi razziali, ordinamento dello
stato, conquista e dominio di territori (lo spazio vitale). In pratica adesione
ai protocolli della Conferenza di Wansee e partecipazione attiva alla soluzione
finale, ovvero alla eliminazione fisica dei nemici non combattenti, o
considerati tali, dello Stato Nazista quali ad esempio gli zingari, i rom, gli omosessuali,
gli ebrei ecc.
. Accettazione delle decisioni del Reich che il 15
settembre si era annesso i territori italiani del Friuli Venezia Giulia e
dell’Istria e l’Alto Adige e, in modo più ampio, il totale predominio
economico, diplomatico, reale sulla Repubblica delle camicie nere da parte
delle autorità politiche e amministrative tedesche.
Per i componenti questo gruppo il problema rimane aperto
in quanto è difficile trovare in questa griglia di valori elementi da
condividere.
Non è tanto un mero conferimento di titoli ed
onorificenze, o gratifiche ed emolumenti, quanto un sostanziale approccio di
che cosa si rappresenta. Un Milite della Repubblica Sociale Italiana combatteva
per la vittoria della Germania, per la sconfitta del Comunismo ( I bersaglieri
e i battaglioni “M” a Santa Lucia a difesa del confine orientale dalle
formazioni titine), per la Socializzazione ( ovvero la partecipazione al
capitale anche di altre figure come gli operai e gli impiegati), per la purezza
della Razza ( ovvero la eliminazione di tutti coloro che erano definti
diversi), per la concezione repubblicana del fascismo, quello della prima ora,
che non si annacquò con la marcia su Roma e con la svolta delle leggi
fascistissime del 3 gennaio 1925 e che punì duramente i “traditori del 25
luglio”. Questo Milite ed i motivi per
cui ha combattuto dovrebbe essere equiparato a coloro che avevano idee e valori
diametralmente opposti.
Il tavolo è aperto per trovare in questi elementi dei
punti di contatto per creare una memoria condivisa. Come può un vero
combattente della Repubblica Sociale Italiana, quello ad esempio che sosteneva
dall’interno come GNR o Guardia nera le azioni delle SS Italiane, trovare una
equiparazione con il partigiano delle formazioni di Giustizia e Libertà? Una equiparazione
di legge sarebbe, visto poi come si è evoluta la storia nei sessanta anni
successivi, una definitiva condanna della sue scelta ed delle idee per cui
combatteva. Un contentino in termini di onorificenze e gratifiche, perché per
tutto quello per cui combatteva non solo in Italia ma in nessuna parte
dell’Europa civile si è realizzato, nemmeno in Spagna, dove il “caudillio”
Franco ha fatto confluire il suo movimento fascista, per cui si combattè una
durissima guerra per tre anni, in un regime monarchico- costituzionale e
democratico.
Se poi, vogliamo tutto portare sul piano militare, di
rispetto dei combattenti, scindendo i cambattenti onesti dai criminali di
guerra, ormai tutto è acquisito. Io ricordo di aver visto ad un Raduno dei
bersaglieri il compianto Bartolini sfilare con alla sua sinistra l’allora
sindaco di Latina, combattente della RSI, e alla sua destra, Maras, comandante
di una formazione partigiana inserita nell’esercito titino: Tutti e tre erano
del Battaglione Bersaglieri Zara.
Un passato che non passa
Tirando le somme, sarebbe interessante sviluppare questi
aspetti per creare una “road map” che porti ad una memoria condivisa. Ma la
condizione è una, ed inequivocabile: occore ragionare e discutere su dati
oggettivi di fatto. Opinioni, slogans, frasi fatte, fiction ed altro devono
rimanere fuori. I documenti devono parlare, non “quello che vorremmo che sia
stato”, o il desiderio di presentare la faccia buona” degli onesti e buoni
fascisti, che morirono per “l’onore
d’Italia”. Questi slogans li possiamo lasciare ai manifesti di Baccasile, ma
non possono essere espressioni di valori e di idee. Se vogliamo parlare di
foibe, ad esempio, ebbene uno dei documenti base per discutere questa tragedia
è la famosa circolare di un generale italiano in cui, sul finire del 1943, ci
si lamentava che i nostri comandi in Istria e Slovenia, erano troppi morbidi,
si “fucilava poco”. E scritto in questa circolare che occorreva essere spietati
come tedeschi ed Ustascia. La nostra occupazione di quelle terre non può essere
ignorata quanto di parla di Foibe, come non possono essere ignorati i
rastrellamenti di Lubiana delle Brigate Granatieri di Lombardia e di Sardegna,
il campo di concentramento di Gonars, il campo di conceramento di Monigo, e di
Padova Chiesanova. Anche aprire queste pagine dolorose porta ad una memoria
condivisa. La favola del soldato italiano buon occupatore la raccontiamo tra
noi stessi: sloveni, croati, montenegrini, albanesi, greci, russi, serbi,
etiopi, somali ed eritrei, e tanti altri hanno opinioni diverse, e che
si dovranno pur prendere in considerazione.
Così come il repubblichino che credeva in quello che
faceva: oggi si trova equiparato a tutto ciò contro cui combatteva: ennesima
sconfitta della sua scelta, voluta dai suoi eredi che vogliono costruire una
memoria basata più “su quello che è bene che sia” rispetto a quello che “è
stato”. Per creare una momoria condivisa devono parlare solo i dati oggettivi,
i documenti: su quella base si possono sviluppare ragionamenti ed opinioni. Sulle
volontà politiche del momento si costruisce solo contrapposizioni e barriere
che confermano che la libertà e la democrazia, oltre che la tolleranza, non
sono conquiste acquisite, ma che vanno conquistate ogni giorno.
[1] La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani
dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa
come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione
alla coalizione antihitleriana. Abbiano indivduato i fronti di questa guerra in
cui si combatté in nome di una Italia diversa e democratica. Chi, invece,
aderiva alla Coalizione Hitleriana, perseguiva i fini che questa postulava.
I fronti individuati sono i
seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono
al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con
limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il
Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e
la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti
antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte
questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei
nostri soldati che si sono inseriti nelle
formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia,
Grecia, Albania).
- Quello della Resistenza degli
Internati Militari Italiani, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra
mondiale.
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