Continuando
la nostra trattazione partita dalla passione per l’occultismo dei gerarchi
nazisti, andiamo ad analizzare alcuni legami tra questa e le soluzioni pratiche
adottate dagli stessi, in particolar modo Hitler, Himmler e Heydrich. La
maggior parte delle riunioni programmatiche dei capi nazisti, infatti,
avvenivano seguendo un rituale settario, come si evince dai diari pervenutici,
soprattutto per l’argomento che andiamo a trattare.
È
interessante notare come la “soluzione finale del popolo ebraico” fosse stata
“varata” durante la famosa riunione del 20 gennaio 1942, in una palazzina della
periferia di Berlino, e di come la decisione concludesse il progetto elaborato
piano piano di passare dalla deportazione ebraica lontano dallo spazio vitale
tedesco, all’isola del Madagascar.
Essendo
tutto questo evidentemente troppo dispendioso, i gerarchi nazisti furono
“costretti” a pensare ad una soluzione più pratica e quindi allo sterminio.
Conosciamo
i dettagli dell’operazione da un personaggio molto preciso che ha fatto stilare
un dettagliato diario degli eventi, Reinhard Heydrich. Abilissimo manager,
aveva saputo fondare i servizi segreti delle SS nel 1931, aveva assunto la
direzione della polizia politica e aveva messo a punto una sorta di Ministero
del terrore tra il 1936 e il 1937, tramutato nel 1939 nel Reichssicherheitshauptamt o Ufficio Centrale per la Sicurezza del
Reich.
Fu,
dunque, uno dei principali artefici della gestione pratica della politica anti
ebraica del Terzo Reich, fino alla sua uccisione a Praga, per mano di due
partigiani cecoslovacchi, nel 1942. Eppure, la descrizione della riunione che
ha portato alla decisione finale, scritta per ordine di Heydrich da Adolf
Eichmann, non convince pienamente, se si pensa che alla data del gennaio 1942 le
operazioni delle Waffen SS e degli Einsatzgruppen avevano già comportato il
massacro di centinaia di migliaia di ebrei, mentre il centro di sterminio di
Chelmno era già in funzione e si stava costruendo quello di Belzec. La riunione
di Wannsee doveva convincere tutti i gerarchi nazisti della necessità di una
soluzione finale già avviata da Hitler da mesi, eppure tanti aspetti della
questione non sono stati trascritti nel resoconto di Eichmann per rispettare il
segreto di Stato. Allo stesso tempo, ci si chiede perché, se le decisioni di
Hitler non si discutevano, c’era bisogno di indire riunioni di convincimento,
mentre lo stesso Heydrich voleva fare rivedere le leggi di Norimberga al fine
di includere nella soluzione finale anche chi aveva soltanto uno dei genitori o
dei nonni ebrei.
Hitler
fu profeta, come lui stesso più volte si definirà, quando, in un discorso del
30 gennaio 1939, a celebrazione del sesto anniversario della salita al potere,
ipotizzò una guerra dovuta alla consorteria ebraica, quel nemico che agitava
davanti agli occhi dei suoi ascoltatori dal 1919.
Gli
ebrei, come abbiamo letto nell’articolo precedente, erano diventati il vero
centro dell’attenzione hitleriana e per essi i fiumi di pagine e di parole furono
molti, a indicare tre tappe fondamentali della politica nazista. La
proclamazione dell’intenzione di cancellare gli ebrei dallo spazio vitale
germanico, il periodo necessario a iniziare il processo e ad elaborarne le fasi
di sviluppo e, infine, la soluzione finale del popolo ebraico al quale per
certi versi i nazisti finsero di essere stati costretti ad arrivare.
Eppure,
pare che quasi nessuno avesse preso sul serio le parole del dittatore. Disse
egli stesso: “Al momento della conquista del potere, soprattutto è stato il
popolo ebreo che ha riso delle mie profezie, quando annunciavo che avrei
assunto il comando dello Stato, e dunque del popolo in Germania, e che allora
avrei risolto il problema ebraico”.
Nemmeno
le potenze mondiali avevano tenuto conto delle sue intenzioni: alla conferenza
di Evian del luglio 1938, indetta per raggiungere un’intesa sull’accoglienza
degli ebrei espulsi dal Reich, i Paesi occidentali compresi gli Stati Uniti (dove
solo il dieci per cento dei trecentomila ebrei richiedenti asilo avrebbe
trovato accoglienza alla fine dello stesso anno), non erano pronti a larga
generosità e, nel novembre dello stesso anno, meno della metà degli ebrei
tedeschi e austriaci aveva lasciato il territorio tedesco. Tanto da fare dire
ad Hitler: “è uno spettacolo assolutamente vergognoso vedere che le democrazie,
da un lato, sbavano di pietà per il povero popolo ebreo e, dall’altro, si fanno
di ghiaccio quando si tratta di compiere il dovere che a loro evidentemente
spetta, cioè aiutare quello stesso popolo”.
In
ogni caso, colpa degli ebrei era tutto quanto accaduto dalla fine della prima
guerra mondiale, dalla perdita coloniale, all’inflazione, alla miseria tornata
dopo la crisi economica americana, fino alle soluzioni dovute e da loro stessi
sempre causate (sempre secondo l’ottica nazista), come la Notte dei Cristalli
del novembre 1938.
La
situazione intorno a quella terribile notte, è da ricondurre alla volontà di
ogni accolito di Hitler di dimostrargli il proprio zelo. Il 26 ottobre Himmler
aveva ordinato di arrestare tutti gli ebrei di nazionalità polacca e di
ricacciarli in Polonia prima del 29 dello stesso mese. Contemporaneamente, un
decreto polacco cercava di mettere un freno a tutti gli ebrei che chiedevano di
entrare in Polonia per sfuggire alla persecuzione tedesca. Molti ebrei vennero
così fermati alla frontiera polacca. Un uomo, i cui genitori avevano cercato
rifugio in Polonia, ma erano stati ricacciati in Germania, sparò ad un
diplomatico dell’ambasciata tedesca a Parigi. Questo fu il pretesto atteso per
ribadire che era in atto un’ennesima cospirazione ebraica ai danni dei tedeschi
e per offrire a Himmler la possibilità di iniziare quella politica di
antisemitismo lontana dall’emotività, come chiedeva Hitler stesso, secondo la
quale i pogrom non bastavano più e non erano adatti al popolo tedesco.
Bisognava agire in modo organizzato, senza dare spazio all’emozione momentanea.
Così l’8 novembre vennero riunite le squadre delle SS alle quali Himmler
annunciò che la questione ebraica avrebbe acquisito sempre più importanza negli
anni a venire, mentre il 9 venne annunciata la morte del funzionario tedesco
dell’attentato parigino. Hitler diede il via libera a Goebbels per agire,
mentre pronunciava un discorso nel quale si dissociava dalla punizione di
partito degli ebrei colpevoli dell’attentato, ma non avrebbe impedito al popolo
tedesco di vendicare la morte del proprio compatriota.
Himmler
rimase stupefatto del fatto che Hitler appoggiasse il vero e proprio pogrom che
ne scaturì, senza che ci fosse intervento delle SS, proprio perché in quel modo
il partito sarebbe rimasto neutro nei confronti di un’azione attuata di fatto
dal capo della propaganda. La Gestapo doveva arrestare tra le venti e le
trentamila persone ebree e vegliare sulla rabbia dei cittadini tedeschi che,
finalmente, avrebbero smesso di applaudire Hitler come colui che aveva salvato
la pace. Non doveva esserci pace. Soprattutto contro gli ebrei. La Notte dei
Cristalli permise, inoltre, di affidare alle SS, la nuova forma di stato che si
andava organizzando, la gestione razionale della questione ebraica.
Proprio
il 9 novembre 1938, Hitler aveva espresso a Göring l’intenzione di
riposizionare gli ebrei in Madagascar, e quell’idea doveva diventare un accordo
con le potenze mondiali comodo agli ebrei stessi, perché poteva diventare per
loro merce di scambio per ottenere i salvacondotti. Nel frattempo, gli ebrei
continuavano ad essere il nemico, non soltanto della Germania, ma di tutti i
popoli, assieme ai loro alleati, spesso ebrei anch’essi, bolscevichi.
Nemici
da combattere e annientare, nell’ipotesi non tanto lontana di una guerra. Se,
allora, le potenze mondiali non avessero aiutato la Germania hitleriana a
risolvere la questione ebraica, Hitler ci avrebbe pensato in Europa, in modo da
spazzarli via inesorabilmente. Le intenzioni erano chiare, dunque, mentre
soprattutto Francia e Gran Bretagna speravano che non sarebbero mai state messe
in atto. Un prendere tempo che si rivelerà fatale. All’interno dei Reich
cominciò ad essere praticata l’Operazione Eutanasia già dall’autunno 1939,
utilizzando soprattutto lo schedario messo a punto da Heydrich, fissando al 20%
le eliminazioni dei soggetti “indesiderati”.
Era
evidente che, anche se l’operazione di spostamento degli ebrei fuori dallo
spazio vitale tedesco fosse riuscita, rimanevano gli ebrei nel resto dei
territori europei. Con l’inizio della guerra data dall’invasione della Polonia
del primo settembre 1939, divenne poi evidente ai tedeschi, anche ai gerarchi
nazisti meno propensi a pensare di eliminare sistematicamente interi gruppi di
persone, che il numero di ebrei che si sarebbe dovuto gestire con
l’appropriarsi di buona parte della Polonia, sarebbe stato immensamente alto.
Fu così sempre più chiaro che si doveva trovare una soluzione definitiva della
questione ebraica in Europa.
Se
Hitler non aveva pensato di aggredire immediatamente gli ebrei europei con i
propri gruppi d’assalto, era soltanto per evitare di fare alimentare una
propaganda antitedesca internazionale che avrebbe soltanto nuociuto alla
Germania. Infatti, Himmler gli sottoponeva ogni decisione riguardante le
persecuzioni, proprio per evitare ripercussioni internazionali. Allo stesso
tempo, Hitler era consapevole che non tutti erano davvero pronti ad accettare
la necessaria soluzione eliminatoria definitiva degli ebrei, pertanto era
opportuno essere cauti anche con la truppa e con tutti i reparti dell’esercito,
in modo che arrivassero alla convinzione della giustezza delle decisioni e che
fossero pronti a metterle in atto. Spesso, infatti, i nazisti venivano
paragonati ai bolscevichi in quanto ad azioni violente, repressive e
sanguinose, tanto che in discorsi del 1940, Himmler e Heydrich parleranno dei
metodi nazisti come estranei alla metodologia bolscevica. Bisognava adottare
metodi più “umani” di eliminazione delle sole elite, come infatti avvenne nelle
prime settimane di settembre, quando in Polonia le squadre tedesche eliminarono
circa settantamila persone, delle quali almeno ventimila delle classi
superiori. Tuttavia, il metodo tedesco di selezionare per razza e deportare lo “scarto”
era di gran lunga preferibile, come aveva infatti proclamato Hitler, così la
selezione razziale prese avvio dall’autunno 1939. Dal 27 settembre di
quell’anno, Heydrich raccomandò che le città vedessero la deportazione degli
ebrei, che dovevano essere al più presto incamminati verso la Polonia assieme
ai circa trentamila zingari presenti nel Reich. Per farlo dovevano essere
utilizzati vagoni ferroviari per trasporto merci. Entro un anno doveva essere
portato a termine il progetto di trasformare le vecchie provincie germanofone
in veri distretti tedeschi, mentre chi non era di lingua tedesca doveva
confluire nel distretto per la popolazione non tedesca che aveva come capitale
Cracovia. Il progetto dovette essere modificato nel giro di pochissime
settimane perché, mentre il territorio di deportazione si restringeva, il
numero degli ebrei da deportare era triplicato in sole tre settimane. E i
soldati si opponevano alla creazione di una riserva vicino a Cracovia, su
modello delle riserve degli indiani d’America. Allo stesso tempo, lo
spostamento della popolazione doveva garantire che, nell’imminenza della guerra
contro l’URSS, alcune popolazioni tedesche non rimanessero intrappolate e
ostaggio del nemico. Insomma, lo spazio diventava sempre più esiguo e le
persone che “davano fastidio” sempre di più, quindi i responsabili nazisti
locali erano sempre più impazienti di sbarazzarsi di tutta quella gente. Il 10
ottobre 1939 fu necessario tranquillizzare il commissario del Reich a Vienna
che non vedeva l’ora di fare partire gli ottantamila ebrei che ancora
risiedevano in Austria, ad esempio. La programmazione delle deportazioni
seguiva un programma ferreo che doveva essere rispettato a qualsiasi costo,
malgrado le proteste che si levavano continuamente per varie motivazioni,
comprese quelle di ordine organizzativo pratico.
I
gerarchi nazisti erano consapevoli che i loro progetti e il loro programma
spesso erano fallimentari, come si può leggere in alcuni diari nazisti scritti
a seguito di riunioni notturne che non mancavano di un certo rituale settario,
anche se dalla parte delle vittime tutto sembrava organizzato alla perfezione.
La deportazione di circa un milione di ebrei era davvero problematica e
necessitava di continui aggiustamenti dei piani d’azione. Soprattutto se, in
tutto questo, Hitler si rifiutava di agire e di prendere decisioni, senza le
quali era impossibile procedere con l’attuazione pratica. Negli ultimi mesi del
1939 e nei primi mesi del 1940, allora, molti governatori locali si
“arrangiarono” cercando di provocare la morte degli ebrei, oppure facendo loro
sparare, in modo da eliminarli dalle zone tedesche ma, soprattutto, da
togliersi il problema della loro gestione sempre più problematica. Nella
primavera del 1940, Hitler si complimentò con i suoi perché l’attuazione di una
serie di ordini aveva fatto sì che in Polonia non si stesse costituendo un
sentimento polacco, sentimento nazionale che sarebbe stato molto pericoloso e
difficile da gestire, possibile causa di rivolte.
La
violenta repressione contro gli ebrei andava di pari passo con le conquiste
belliche: già prima della possente avanzata tedesca della primavera 1940, c’era
stato un aumento negli eccidi, per preparare il terreno alla gestione di un
numero sempre maggiore di “nemici” ebrei. Il 13 maggio 1940, un decreto di
Hitler vietava di punire, salvo in rari casi, la violenza dei militari contro i
civili. Nel marzo 1941, Himmler ordinò l’apertura di un secondo campo ad
Auschwitz, accanto a Birkenau, ma ancora non era un campo di sterminio: gli
ebrei erano necessari come forza lavoro; ben presto vi ci sarebbero stati
trasferiti anche migliaia di sovietici. Con l’Operazione Barbarossa, infatti,
le cose si complicarono ulteriormente per la gestione non solo degli ebrei da
deportare, quanto anche dei bolscevichi che dovevano essere eliminati. La lotta
continua contro il tempo che sembrava essere stata ingaggiata dai gerarchi
nazisti, era soprattutto incentrata ad impedire l’avanzata del comunismo
perché, secondo Hitler, proprio il tempo avrebbe giocato a suo favore. Nel
pieno svolgimento della seconda guerra mondiale che, rispettando le profezie
del Führer, era stata scatenata nuovamente dalla consorteria ebraica ai danni
della Germania, la parte profetica che prevedeva l’annientamento degli ebrei
andava mantenuta, come sembrava infatti, così come si doveva non dare requie
all’annientamento comunista bolscevico.
Già
nell’estate del 1941, Eichmann parla della preparazione dell’imminente
soluzione finale e dal settembre, infatti, la situazione degli ebrei europei va
peggiorando a seguito della decisione di Hitler di deportarli dai territori del
Reich all’Est europeo.
Dirà
Himmler: “Il Führer desidera che, al più presto, il Vecchio Reich e il
Protettorato siano liberati dai loro ebrei, procedendo da ovest verso est”. Era
sua intenzione alloggiare entro l’inverno sessantamila ebrei nel ghetto di Lodz
perché gli avevano riferito che c’era ancora posto. Sempre secondo Himmler, la
deportazione verso l’Unione Sovietica, che sarebbe stata il coronamento della
deportazione generale, doveva iniziare nella primavera del 1942. Heyndrich
precisò il programma, suggerendo di mandare gli ebrei nei campi di
concentramento di Stalin perché erano stati costruiti da ebrei, come suggeriva
Goebbels, pertanto era da ritenersi assolutamente “naturale” che venissero
“popolati da ebrei”.
Gli
storici Jäckel e Burrin hanno affermato praticamente entrambi che il lungo
dibattimento sulla “soluzione finale” dal punto di vista per lo meno teorico,
dovesse avere avuto luogo durante i lunghi momenti trascorsi insieme tra
Hitler, Himmler e Heydrich tra il 21 e il 24 settembre 1941.
A
seguito delle decisioni prese, tra il 15 ottobre e il 5 novembre 1941 furono
organizzati 24 trasporti verso Lodz, comprendenti diecimila vittime tedesche,
cinquemila dal protettorato Boemia-Moravia e cinquemila da Vienna; vennero
stipati nel ghetto in attesa di essere inviati più ad Est. Secondo Heydrich, i
deportati avrebbero dovuto essere cinquantamila entro dicembre. Numeri che non
vennero rispettati per mancanza di convogli di trasporto, anche se i dati e i
numeri delle deportazioni variano da zona a zona.
Allo
stesso tempo, dalle zone di deportazione arrivavano rapporti che
sottolineavano, ovviamente dal punto di vista nazista, alcuni problemi
organizzativi. Non essendo riusciti ad impossessarsi delle risorse alimentari
sovietiche, i tedeschi vedevano eccessive pressioni sulle proprie riserve di
provviste, pertanto era un problema pensare di cibare tutti quegli ebrei che
venivano inviati ad Est. Le truppe cominciavano a dare segni di nervosismo, di
insonnia e allucinazioni dopo migliaia di esecuzioni di persone, operate in
vario modo, pertanto era “necessario” pensare ad altre soluzioni.
La
tecnica della gasatura era già stata sperimentata, ad esempio, sugli alienati
mentali e gli handicappati, circa settantamila persone, nella stragrande
maggioranza tedeschi, tra il 1939 e il 1941, in quella che venne nominata
operazione T4. Si trattava, dunque, di applicare le tecniche di eutanasia
all’eliminazione degli ebrei.
L’operazione
avveniva con grande riservatezza, per impedire che ci fosse la ribellione e la
protesta dei cristiani praticanti che di certo non avrebbero accettato
l’eliminazione programmata dei “malati incurabili” o degli “indesiderati”.
Comunque, cominciò a diffondersi il principio della camera a gas, sperimentata
in presenza di Himmler nel 1939, contemporaneamente alla sperimentazione dei
camion a gas. Durante l’operazione T4, vennero eliminati anche degli ebrei non
appartenenti alle categorie delle quote di eliminazione regionale per
eutanasia. Ancora, però, non si procedeva secondo un piano programmatico e
sistematico, quello che ricordiamo come Shoa.
Nello
stesso periodo, si utilizzavano le paludi del Pripjet per sbarazzarsi degli
ebrei, mentre Hitler cominciava a pensare ad un’altra terra inospitale dove
spedire gli ebrei, come la Siberia o il Circolo Polare. Hitler sosteneva che
“d’altra parte non è male che l’opinione pubblica ci attribuisca l’intenzione
di sterminare gli ebrei. Il terrore è una cosa salutare”.
Si
passò tra il 25 ottobre 1941 e il 20 gennaio 1942, data della conferenza di
Wannsee, all’organizzazione da parte di Himmler e Heydrich, di un genocidio non
più lento e “alla spicciolata”, ad un progetto di eliminazione su vasta scala.
Heydrich
aveva conteggiato 11 milioni di ebrei in Europa che non andavano più deportati
e lasciati morire, ma eliminati direttamente. Hitler, direttamente o
indirettamente, appoggiava il progetto, affermando ad esempio, come fece il 5
novembre in un discorso privato con Himmler, che non avrebbe potuto oltre
tollerare che la sana gioventù hitleriana morisse al fronte, permettendo di
vivere alla popolazione criminale, cioè a quegli ebrei che avevano rubato la
vittoria alla Germania nel 1918.
Le
riunioni di Hitler con i suoi più stretti e fidati collaboratori avvenivano
spesso di notte, iniziando a cavallo della mezzanotte, seguendo una sorta di
rituale che ci fa avere dichiarazioni e affermazioni del Führer, ad esempio,
nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1941, o nella notte tra il 19 e il 20 dello
stesso mese: “Se mi si rimprovera d’aver sacrificato cento o duecentomila
uomini a causa della guerra, posso rispondere che, grazie alla mia attività, la
nazione tedesca ha guadagnato fino a oggi più di due milioni e cinquecentomila
esseri umani”, intendendo l’inserimento dei tedeschi etnici.
Dai
diari degli accoliti che partecipavano alle riunioni, si evince il clima spesso
etereo che si respirava alla presenza del Führer il quale curava nei dettagli
posti assegnati ai presenti, parole, intenzioni, molte delle quali poi, come
abbiamo scritto, venivano interpretate dai suoi gerarchi alla luce
dell’emulazione che volevano mettere in atto del loro capo, oppure della
volontà di compiacerlo, anche quando egli non pronunciava discorsi consoni a
quanto essi avevano in mente.
In
ogni caso, è bene sottolineare come ogni organizzazione, compresa la riunione
del 20 gennaio 1942, preparata con l’invio degli inviti da parte di Heydrich
dal 29 novembre 1941, dovesse servire a convincere il personale dello Stato che
il genocidio che si andava decidendo fosse una decisione di Hitler presa
durante un piano precedente, come si usava spesso retrodatare decisioni per
fini politico-militari. E che la direzione del progetto dovesse essere
interamente nelle mani delle SS, autorità suprema dell’operazione.
A
seguito della conferenza di Wannsee, il 25 gennaio 1942 Hitler dirà che:
“L’ebreo deve sloggiare dall’Europa” perché con la sua presenza, ogni intesa
tra europei sarebbe stata impossibile essendo “L’ebreo che blocca tutto”.
Sarà
la morte di Heydrich a scatenare l’accelerazione dell’operazione decisa a
Wannsee; la sera del funerale di Heydrich, nel giugno 1942, infatti, Himmler
incaricò di sterminare gli ebrei sotto il dominio diretto del Reich entro un
anno. Iniziò l’operazione Reinhard soprattutto nei centri di Belzec, Sobibor e
Treblinka dove morirono un milione e settecentocinquantamila persone entro
l’ottobre 1943.
La
morte di Heydrich non aveva fermato il progetto nazista, perché ogni gerarca
agiva per prestigio e per decisione personale, spesso mettendo in atto rituali
che non erano di pura emulazione, pertanto molti nomi volevano emergere agli
occhi di Hitler e dell’opinione pubblica futura per la loro azione di sterminio
programmato, continuandolo com’era stato ipotizzato, nominando, ad esempio,
Auschwitz il maggior campo di sterminio in Europa.
Alla
fine, per credenze, politica, ossessioni, i nazisti avevano messo in atto la
più mostruosa organizzazione possibile in Europa: eliminare, o cercare di
eliminare, la coscienza morale dell’Europa stessa e dell’Occidente, eliminando
gli ebrei.
Comm. Alessia
Biasiolo
Vice Presidente Federazione di Bresca
Istituto del Nastro Azzurro
Bibliografia essenziale
Edouard
Husson: “Endlösung. Soluzione finale”, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano,
2007
Arno
Mayer: “Soluzione finale: lo sterminio degli ebrei nella storia europea”,
Mondadori, Milano, 1990
Hans
Mommsen: “La soluzione finale. Come s’è giunti allo sterminio degli ebrei”, il
Mulino, Bologna, 2005
Mark
Roseman: “Il protocollo di Wannsee. La soluzione
finale”, Corbaccio, Milano, 2002