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mercoledì 19 aprile 2017

.“Wannsee”. La soluzione finale del popolo ebraico


 Continuando la nostra trattazione partita dalla passione per l’occultismo dei gerarchi nazisti, andiamo ad analizzare alcuni legami tra questa e le soluzioni pratiche adottate dagli stessi, in particolar modo Hitler, Himmler e Heydrich. La maggior parte delle riunioni programmatiche dei capi nazisti, infatti, avvenivano seguendo un rituale settario, come si evince dai diari pervenutici, soprattutto per l’argomento che andiamo a trattare.
È interessante notare come la “soluzione finale del popolo ebraico” fosse stata “varata” durante la famosa riunione del 20 gennaio 1942, in una palazzina della periferia di Berlino, e di come la decisione concludesse il progetto elaborato piano piano di passare dalla deportazione ebraica lontano dallo spazio vitale tedesco, all’isola del Madagascar.
Essendo tutto questo evidentemente troppo dispendioso, i gerarchi nazisti furono “costretti” a pensare ad una soluzione più pratica e quindi allo sterminio.
Conosciamo i dettagli dell’operazione da un personaggio molto preciso che ha fatto stilare un dettagliato diario degli eventi, Reinhard Heydrich. Abilissimo manager, aveva saputo fondare i servizi segreti delle SS nel 1931, aveva assunto la direzione della polizia politica e aveva messo a punto una sorta di Ministero del terrore tra il 1936 e il 1937, tramutato nel 1939 nel Reichssicherheitshauptamt o Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich.
Fu, dunque, uno dei principali artefici della gestione pratica della politica anti ebraica del Terzo Reich, fino alla sua uccisione a Praga, per mano di due partigiani cecoslovacchi, nel 1942. Eppure, la descrizione della riunione che ha portato alla decisione finale, scritta per ordine di Heydrich da Adolf Eichmann, non convince pienamente, se si pensa che alla data del gennaio 1942 le operazioni delle Waffen SS e degli Einsatzgruppen avevano già comportato il massacro di centinaia di migliaia di ebrei, mentre il centro di sterminio di Chelmno era già in funzione e si stava costruendo quello di Belzec. La riunione di Wannsee doveva convincere tutti i gerarchi nazisti della necessità di una soluzione finale già avviata da Hitler da mesi, eppure tanti aspetti della questione non sono stati trascritti nel resoconto di Eichmann per rispettare il segreto di Stato. Allo stesso tempo, ci si chiede perché, se le decisioni di Hitler non si discutevano, c’era bisogno di indire riunioni di convincimento, mentre lo stesso Heydrich voleva fare rivedere le leggi di Norimberga al fine di includere nella soluzione finale anche chi aveva soltanto uno dei genitori o dei nonni ebrei.
Hitler fu profeta, come lui stesso più volte si definirà, quando, in un discorso del 30 gennaio 1939, a celebrazione del sesto anniversario della salita al potere, ipotizzò una guerra dovuta alla consorteria ebraica, quel nemico che agitava davanti agli occhi dei suoi ascoltatori dal 1919.
Gli ebrei, come abbiamo letto nell’articolo precedente, erano diventati il vero centro dell’attenzione hitleriana e per essi i fiumi di pagine e di parole furono molti, a indicare tre tappe fondamentali della politica nazista. La proclamazione dell’intenzione di cancellare gli ebrei dallo spazio vitale germanico, il periodo necessario a iniziare il processo e ad elaborarne le fasi di sviluppo e, infine, la soluzione finale del popolo ebraico al quale per certi versi i nazisti finsero di essere stati costretti ad arrivare.
Eppure, pare che quasi nessuno avesse preso sul serio le parole del dittatore. Disse egli stesso: “Al momento della conquista del potere, soprattutto è stato il popolo ebreo che ha riso delle mie profezie, quando annunciavo che avrei assunto il comando dello Stato, e dunque del popolo in Germania, e che allora avrei risolto il problema ebraico”.
Nemmeno le potenze mondiali avevano tenuto conto delle sue intenzioni: alla conferenza di Evian del luglio 1938, indetta per raggiungere un’intesa sull’accoglienza degli ebrei espulsi dal Reich, i Paesi occidentali compresi gli Stati Uniti (dove solo il dieci per cento dei trecentomila ebrei richiedenti asilo avrebbe trovato accoglienza alla fine dello stesso anno), non erano pronti a larga generosità e, nel novembre dello stesso anno, meno della metà degli ebrei tedeschi e austriaci aveva lasciato il territorio tedesco. Tanto da fare dire ad Hitler: “è uno spettacolo assolutamente vergognoso vedere che le democrazie, da un lato, sbavano di pietà per il povero popolo ebreo e, dall’altro, si fanno di ghiaccio quando si tratta di compiere il dovere che a loro evidentemente spetta, cioè aiutare quello stesso popolo”.
In ogni caso, colpa degli ebrei era tutto quanto accaduto dalla fine della prima guerra mondiale, dalla perdita coloniale, all’inflazione, alla miseria tornata dopo la crisi economica americana, fino alle soluzioni dovute e da loro stessi sempre causate (sempre secondo l’ottica nazista), come la Notte dei Cristalli del novembre 1938.
La situazione intorno a quella terribile notte, è da ricondurre alla volontà di ogni accolito di Hitler di dimostrargli il proprio zelo. Il 26 ottobre Himmler aveva ordinato di arrestare tutti gli ebrei di nazionalità polacca e di ricacciarli in Polonia prima del 29 dello stesso mese. Contemporaneamente, un decreto polacco cercava di mettere un freno a tutti gli ebrei che chiedevano di entrare in Polonia per sfuggire alla persecuzione tedesca. Molti ebrei vennero così fermati alla frontiera polacca. Un uomo, i cui genitori avevano cercato rifugio in Polonia, ma erano stati ricacciati in Germania, sparò ad un diplomatico dell’ambasciata tedesca a Parigi. Questo fu il pretesto atteso per ribadire che era in atto un’ennesima cospirazione ebraica ai danni dei tedeschi e per offrire a Himmler la possibilità di iniziare quella politica di antisemitismo lontana dall’emotività, come chiedeva Hitler stesso, secondo la quale i pogrom non bastavano più e non erano adatti al popolo tedesco. Bisognava agire in modo organizzato, senza dare spazio all’emozione momentanea. Così l’8 novembre vennero riunite le squadre delle SS alle quali Himmler annunciò che la questione ebraica avrebbe acquisito sempre più importanza negli anni a venire, mentre il 9 venne annunciata la morte del funzionario tedesco dell’attentato parigino. Hitler diede il via libera a Goebbels per agire, mentre pronunciava un discorso nel quale si dissociava dalla punizione di partito degli ebrei colpevoli dell’attentato, ma non avrebbe impedito al popolo tedesco di vendicare la morte del proprio compatriota.
Himmler rimase stupefatto del fatto che Hitler appoggiasse il vero e proprio pogrom che ne scaturì, senza che ci fosse intervento delle SS, proprio perché in quel modo il partito sarebbe rimasto neutro nei confronti di un’azione attuata di fatto dal capo della propaganda. La Gestapo doveva arrestare tra le venti e le trentamila persone ebree e vegliare sulla rabbia dei cittadini tedeschi che, finalmente, avrebbero smesso di applaudire Hitler come colui che aveva salvato la pace. Non doveva esserci pace. Soprattutto contro gli ebrei. La Notte dei Cristalli permise, inoltre, di affidare alle SS, la nuova forma di stato che si andava organizzando, la gestione razionale della questione ebraica.
Proprio il 9 novembre 1938, Hitler aveva espresso a Göring l’intenzione di riposizionare gli ebrei in Madagascar, e quell’idea doveva diventare un accordo con le potenze mondiali comodo agli ebrei stessi, perché poteva diventare per loro merce di scambio per ottenere i salvacondotti. Nel frattempo, gli ebrei continuavano ad essere il nemico, non soltanto della Germania, ma di tutti i popoli, assieme ai loro alleati, spesso ebrei anch’essi, bolscevichi.
Nemici da combattere e annientare, nell’ipotesi non tanto lontana di una guerra. Se, allora, le potenze mondiali non avessero aiutato la Germania hitleriana a risolvere la questione ebraica, Hitler ci avrebbe pensato in Europa, in modo da spazzarli via inesorabilmente. Le intenzioni erano chiare, dunque, mentre soprattutto Francia e Gran Bretagna speravano che non sarebbero mai state messe in atto. Un prendere tempo che si rivelerà fatale. All’interno dei Reich cominciò ad essere praticata l’Operazione Eutanasia già dall’autunno 1939, utilizzando soprattutto lo schedario messo a punto da Heydrich, fissando al 20% le eliminazioni dei soggetti “indesiderati”.
Era evidente che, anche se l’operazione di spostamento degli ebrei fuori dallo spazio vitale tedesco fosse riuscita, rimanevano gli ebrei nel resto dei territori europei. Con l’inizio della guerra data dall’invasione della Polonia del primo settembre 1939, divenne poi evidente ai tedeschi, anche ai gerarchi nazisti meno propensi a pensare di eliminare sistematicamente interi gruppi di persone, che il numero di ebrei che si sarebbe dovuto gestire con l’appropriarsi di buona parte della Polonia, sarebbe stato immensamente alto. Fu così sempre più chiaro che si doveva trovare una soluzione definitiva della questione ebraica in Europa.
Se Hitler non aveva pensato di aggredire immediatamente gli ebrei europei con i propri gruppi d’assalto, era soltanto per evitare di fare alimentare una propaganda antitedesca internazionale che avrebbe soltanto nuociuto alla Germania. Infatti, Himmler gli sottoponeva ogni decisione riguardante le persecuzioni, proprio per evitare ripercussioni internazionali. Allo stesso tempo, Hitler era consapevole che non tutti erano davvero pronti ad accettare la necessaria soluzione eliminatoria definitiva degli ebrei, pertanto era opportuno essere cauti anche con la truppa e con tutti i reparti dell’esercito, in modo che arrivassero alla convinzione della giustezza delle decisioni e che fossero pronti a metterle in atto. Spesso, infatti, i nazisti venivano paragonati ai bolscevichi in quanto ad azioni violente, repressive e sanguinose, tanto che in discorsi del 1940, Himmler e Heydrich parleranno dei metodi nazisti come estranei alla metodologia bolscevica. Bisognava adottare metodi più “umani” di eliminazione delle sole elite, come infatti avvenne nelle prime settimane di settembre, quando in Polonia le squadre tedesche eliminarono circa settantamila persone, delle quali almeno ventimila delle classi superiori. Tuttavia, il metodo tedesco di selezionare per razza e deportare lo “scarto” era di gran lunga preferibile, come aveva infatti proclamato Hitler, così la selezione razziale prese avvio dall’autunno 1939. Dal 27 settembre di quell’anno, Heydrich raccomandò che le città vedessero la deportazione degli ebrei, che dovevano essere al più presto incamminati verso la Polonia assieme ai circa trentamila zingari presenti nel Reich. Per farlo dovevano essere utilizzati vagoni ferroviari per trasporto merci. Entro un anno doveva essere portato a termine il progetto di trasformare le vecchie provincie germanofone in veri distretti tedeschi, mentre chi non era di lingua tedesca doveva confluire nel distretto per la popolazione non tedesca che aveva come capitale Cracovia. Il progetto dovette essere modificato nel giro di pochissime settimane perché, mentre il territorio di deportazione si restringeva, il numero degli ebrei da deportare era triplicato in sole tre settimane. E i soldati si opponevano alla creazione di una riserva vicino a Cracovia, su modello delle riserve degli indiani d’America. Allo stesso tempo, lo spostamento della popolazione doveva garantire che, nell’imminenza della guerra contro l’URSS, alcune popolazioni tedesche non rimanessero intrappolate e ostaggio del nemico. Insomma, lo spazio diventava sempre più esiguo e le persone che “davano fastidio” sempre di più, quindi i responsabili nazisti locali erano sempre più impazienti di sbarazzarsi di tutta quella gente. Il 10 ottobre 1939 fu necessario tranquillizzare il commissario del Reich a Vienna che non vedeva l’ora di fare partire gli ottantamila ebrei che ancora risiedevano in Austria, ad esempio. La programmazione delle deportazioni seguiva un programma ferreo che doveva essere rispettato a qualsiasi costo, malgrado le proteste che si levavano continuamente per varie motivazioni, comprese quelle di ordine organizzativo pratico.
I gerarchi nazisti erano consapevoli che i loro progetti e il loro programma spesso erano fallimentari, come si può leggere in alcuni diari nazisti scritti a seguito di riunioni notturne che non mancavano di un certo rituale settario, anche se dalla parte delle vittime tutto sembrava organizzato alla perfezione. La deportazione di circa un milione di ebrei era davvero problematica e necessitava di continui aggiustamenti dei piani d’azione. Soprattutto se, in tutto questo, Hitler si rifiutava di agire e di prendere decisioni, senza le quali era impossibile procedere con l’attuazione pratica. Negli ultimi mesi del 1939 e nei primi mesi del 1940, allora, molti governatori locali si “arrangiarono” cercando di provocare la morte degli ebrei, oppure facendo loro sparare, in modo da eliminarli dalle zone tedesche ma, soprattutto, da togliersi il problema della loro gestione sempre più problematica. Nella primavera del 1940, Hitler si complimentò con i suoi perché l’attuazione di una serie di ordini aveva fatto sì che in Polonia non si stesse costituendo un sentimento polacco, sentimento nazionale che sarebbe stato molto pericoloso e difficile da gestire, possibile causa di rivolte.
La violenta repressione contro gli ebrei andava di pari passo con le conquiste belliche: già prima della possente avanzata tedesca della primavera 1940, c’era stato un aumento negli eccidi, per preparare il terreno alla gestione di un numero sempre maggiore di “nemici” ebrei. Il 13 maggio 1940, un decreto di Hitler vietava di punire, salvo in rari casi, la violenza dei militari contro i civili. Nel marzo 1941, Himmler ordinò l’apertura di un secondo campo ad Auschwitz, accanto a Birkenau, ma ancora non era un campo di sterminio: gli ebrei erano necessari come forza lavoro; ben presto vi ci sarebbero stati trasferiti anche migliaia di sovietici. Con l’Operazione Barbarossa, infatti, le cose si complicarono ulteriormente per la gestione non solo degli ebrei da deportare, quanto anche dei bolscevichi che dovevano essere eliminati. La lotta continua contro il tempo che sembrava essere stata ingaggiata dai gerarchi nazisti, era soprattutto incentrata ad impedire l’avanzata del comunismo perché, secondo Hitler, proprio il tempo avrebbe giocato a suo favore. Nel pieno svolgimento della seconda guerra mondiale che, rispettando le profezie del Führer, era stata scatenata nuovamente dalla consorteria ebraica ai danni della Germania, la parte profetica che prevedeva l’annientamento degli ebrei andava mantenuta, come sembrava infatti, così come si doveva non dare requie all’annientamento comunista bolscevico.
Già nell’estate del 1941, Eichmann parla della preparazione dell’imminente soluzione finale e dal settembre, infatti, la situazione degli ebrei europei va peggiorando a seguito della decisione di Hitler di deportarli dai territori del Reich all’Est europeo.
Dirà Himmler: “Il Führer desidera che, al più presto, il Vecchio Reich e il Protettorato siano liberati dai loro ebrei, procedendo da ovest verso est”. Era sua intenzione alloggiare entro l’inverno sessantamila ebrei nel ghetto di Lodz perché gli avevano riferito che c’era ancora posto. Sempre secondo Himmler, la deportazione verso l’Unione Sovietica, che sarebbe stata il coronamento della deportazione generale, doveva iniziare nella primavera del 1942. Heyndrich precisò il programma, suggerendo di mandare gli ebrei nei campi di concentramento di Stalin perché erano stati costruiti da ebrei, come suggeriva Goebbels, pertanto era da ritenersi assolutamente “naturale” che venissero “popolati da ebrei”.
Gli storici Jäckel e Burrin hanno affermato praticamente entrambi che il lungo dibattimento sulla “soluzione finale” dal punto di vista per lo meno teorico, dovesse avere avuto luogo durante i lunghi momenti trascorsi insieme tra Hitler, Himmler e Heydrich tra il 21 e il 24 settembre 1941.
A seguito delle decisioni prese, tra il 15 ottobre e il 5 novembre 1941 furono organizzati 24 trasporti verso Lodz, comprendenti diecimila vittime tedesche, cinquemila dal protettorato Boemia-Moravia e cinquemila da Vienna; vennero stipati nel ghetto in attesa di essere inviati più ad Est. Secondo Heydrich, i deportati avrebbero dovuto essere cinquantamila entro dicembre. Numeri che non vennero rispettati per mancanza di convogli di trasporto, anche se i dati e i numeri delle deportazioni variano da zona a zona.
Allo stesso tempo, dalle zone di deportazione arrivavano rapporti che sottolineavano, ovviamente dal punto di vista nazista, alcuni problemi organizzativi. Non essendo riusciti ad impossessarsi delle risorse alimentari sovietiche, i tedeschi vedevano eccessive pressioni sulle proprie riserve di provviste, pertanto era un problema pensare di cibare tutti quegli ebrei che venivano inviati ad Est. Le truppe cominciavano a dare segni di nervosismo, di insonnia e allucinazioni dopo migliaia di esecuzioni di persone, operate in vario modo, pertanto era “necessario” pensare ad altre soluzioni.
La tecnica della gasatura era già stata sperimentata, ad esempio, sugli alienati mentali e gli handicappati, circa settantamila persone, nella stragrande maggioranza tedeschi, tra il 1939 e il 1941, in quella che venne nominata operazione T4. Si trattava, dunque, di applicare le tecniche di eutanasia all’eliminazione degli ebrei.
L’operazione avveniva con grande riservatezza, per impedire che ci fosse la ribellione e la protesta dei cristiani praticanti che di certo non avrebbero accettato l’eliminazione programmata dei “malati incurabili” o degli “indesiderati”. Comunque, cominciò a diffondersi il principio della camera a gas, sperimentata in presenza di Himmler nel 1939, contemporaneamente alla sperimentazione dei camion a gas. Durante l’operazione T4, vennero eliminati anche degli ebrei non appartenenti alle categorie delle quote di eliminazione regionale per eutanasia. Ancora, però, non si procedeva secondo un piano programmatico e sistematico, quello che ricordiamo come Shoa.
Nello stesso periodo, si utilizzavano le paludi del Pripjet per sbarazzarsi degli ebrei, mentre Hitler cominciava a pensare ad un’altra terra inospitale dove spedire gli ebrei, come la Siberia o il Circolo Polare. Hitler sosteneva che “d’altra parte non è male che l’opinione pubblica ci attribuisca l’intenzione di sterminare gli ebrei. Il terrore è una cosa salutare”.
Si passò tra il 25 ottobre 1941 e il 20 gennaio 1942, data della conferenza di Wannsee, all’organizzazione da parte di Himmler e Heydrich, di un genocidio non più lento e “alla spicciolata”, ad un progetto di eliminazione su vasta scala.
Heydrich aveva conteggiato 11 milioni di ebrei in Europa che non andavano più deportati e lasciati morire, ma eliminati direttamente. Hitler, direttamente o indirettamente, appoggiava il progetto, affermando ad esempio, come fece il 5 novembre in un discorso privato con Himmler, che non avrebbe potuto oltre tollerare che la sana gioventù hitleriana morisse al fronte, permettendo di vivere alla popolazione criminale, cioè a quegli ebrei che avevano rubato la vittoria alla Germania nel 1918.
Le riunioni di Hitler con i suoi più stretti e fidati collaboratori avvenivano spesso di notte, iniziando a cavallo della mezzanotte, seguendo una sorta di rituale che ci fa avere dichiarazioni e affermazioni del Führer, ad esempio, nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1941, o nella notte tra il 19 e il 20 dello stesso mese: “Se mi si rimprovera d’aver sacrificato cento o duecentomila uomini a causa della guerra, posso rispondere che, grazie alla mia attività, la nazione tedesca ha guadagnato fino a oggi più di due milioni e cinquecentomila esseri umani”, intendendo l’inserimento dei tedeschi etnici.
Dai diari degli accoliti che partecipavano alle riunioni, si evince il clima spesso etereo che si respirava alla presenza del Führer il quale curava nei dettagli posti assegnati ai presenti, parole, intenzioni, molte delle quali poi, come abbiamo scritto, venivano interpretate dai suoi gerarchi alla luce dell’emulazione che volevano mettere in atto del loro capo, oppure della volontà di compiacerlo, anche quando egli non pronunciava discorsi consoni a quanto essi avevano in mente.
In ogni caso, è bene sottolineare come ogni organizzazione, compresa la riunione del 20 gennaio 1942, preparata con l’invio degli inviti da parte di Heydrich dal 29 novembre 1941, dovesse servire a convincere il personale dello Stato che il genocidio che si andava decidendo fosse una decisione di Hitler presa durante un piano precedente, come si usava spesso retrodatare decisioni per fini politico-militari. E che la direzione del progetto dovesse essere interamente nelle mani delle SS, autorità suprema dell’operazione.
A seguito della conferenza di Wannsee, il 25 gennaio 1942 Hitler dirà che: “L’ebreo deve sloggiare dall’Europa” perché con la sua presenza, ogni intesa tra europei sarebbe stata impossibile essendo “L’ebreo che blocca tutto”.
Sarà la morte di Heydrich a scatenare l’accelerazione dell’operazione decisa a Wannsee; la sera del funerale di Heydrich, nel giugno 1942, infatti, Himmler incaricò di sterminare gli ebrei sotto il dominio diretto del Reich entro un anno. Iniziò l’operazione Reinhard soprattutto nei centri di Belzec, Sobibor e Treblinka dove morirono un milione e settecentocinquantamila persone entro l’ottobre 1943.
La morte di Heydrich non aveva fermato il progetto nazista, perché ogni gerarca agiva per prestigio e per decisione personale, spesso mettendo in atto rituali che non erano di pura emulazione, pertanto molti nomi volevano emergere agli occhi di Hitler e dell’opinione pubblica futura per la loro azione di sterminio programmato, continuandolo com’era stato ipotizzato, nominando, ad esempio, Auschwitz il maggior campo di sterminio in Europa.
Alla fine, per credenze, politica, ossessioni, i nazisti avevano messo in atto la più mostruosa organizzazione possibile in Europa: eliminare, o cercare di eliminare, la coscienza morale dell’Europa stessa e dell’Occidente, eliminando gli ebrei.

Comm. Alessia Biasiolo
Vice Presidente Federazione di Bresca
Istituto del Nastro Azzurro

Bibliografia essenziale
Edouard Husson: “Endlösung. Soluzione finale”, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 2007
Arno Mayer: “Soluzione finale: lo sterminio degli ebrei nella storia europea”, Mondadori, Milano, 1990
Hans Mommsen: “La soluzione finale. Come s’è giunti allo sterminio degli ebrei”, il Mulino, Bologna, 2005

Mark Roseman: “Il protocollo di Wannsee. La soluzione finale”, Corbaccio, Milano, 2002

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