di Alessia Biasiolo
Le
teorie alimentari tedesche relativamente al cancro, consideravano che si
trattasse di una malattia dovuta meno a germi o agenti chimici (gli studi
venivano comunque condotti lo stesso per cercare di trovare, o di escludere,
qualche possibile causa patogena) che a processi disfunzionali dell’organismo.
L’insorgenza del cancro, infatti, era messa in relazione allo stress e alla
cattiva alimentazione, qualcosa cioè che, indebolendo l’organismo, favoriva
l’insorgenza della terribile malattia. Per molti scienziati, come Liek, il
cancro era una malattia del corpo nel suo complesso: le cause potevano allora
essere genetiche, alimentari, appunto, stressogene, eccetera. Chi sosteneva,
con Liek, questa teoria, ed erano in molti, caldeggiavano un’alimentazione
povera in proteine e zuccheri e ricca di fibre e frutta. Il timore più grande,
infatti, era evidenziare come il cancro colpisse persone in buona salute,
pertanto venivano consigliati periodi di digiuno e la riduzione del consumo di
carne. Anche per la gioventù hitleriana era stato prodotto un manuale dal
titolo “La salute attraverso una corretta alimentazione” e, tra i vari
consigli, quello più interessante proponeva l’uso della soia come sostituto
della carne. Altro interesse riguardava la lotta alla stitichezza, condotta con
l’utilizzo soprattutto di pane integrale. L’uso della carne era stato
ripetutamente demonizzato, come già abbiamo scritto, soprattutto alla luce
dell’alto consumo che si praticava nella Germania nazista e del fatto che
Hitler fosse vegetariano. Si pensava che la carne fosse causa di aggressività,
di golosità pericolosa e lesiva della salute fisica e morale, tanto come alla generazione
precedente di tedeschi era stato insegnato che l’utilizzo di frutta e verdura
fosse dannoso. Allo stesso tempo, la campagna di Hermann Göring contro la
vivisezione, aveva portato al maggiore rispetto degli animali: annunciata
nell’agosto 1933, la fine della pratica della vivisezione aveva condotto ad
un’intensa campagna a favore della posizione salutistica del maresciallo, che
minacciava di inviare ai campi di concentramento quanti avessero ancora
torturato gli animali per studi ed esperimenti scientifici. Il dibattito
alimentarista, però, non si quietò, anzi. Da un lato la scuola di pensiero che
aveva sostenuto come frutta e verdura portassero al cancro, opinione
controbattuta da quanti analizzavano come popolazioni asiatiche come quella
indiana avessero una bassissima percentuale di cancro, malgrado il forte uso di
verdura; dall’altra parte c’era chi considerava, ancora nel 1942, che la
popolazione “pura” della Groenlandia avesse una bassissima incidenza di cancro
malgrado il consumo quasi esclusivo di carne. A questo si affiancavano studi
effettuati in Francia, secondo i quali i macellai, che maneggiavano
costantemente la carne, non era quasi mai malati di cancro, quasi che (come per
il vaccino) diventassero immuni alla malattia grazie al proprio lavoro. Naturalmente,
queste considerazioni andavano di pari passo all’approvvigionamento tedesco di
derrate alimentari. Infatti, negli anni Trenta veniva deplorato l’utilizzo di
tanto terreno per produrre cereali adatti all’alimentazione del bestiame, quando
si sarebbero potuti utilizzare i campi per l’alimentazione umana. E c’era anche
chi denunciava questa politica, e la relativa campagna pubblicitaria per la
popolazione, alla luce della scarsità di cibo circolante, dovuto alla necessità
di scorte per i militari e alla politica di autosufficienza agricola che aveva
notevolmente ridotto le scorte della Germania.
Tornando
comunque alla necessità di imitare il capo, soprattutto fra coloro che gli
volevano essere più vicini, era risaputo che Hitler fosse vegetariano e che non
bevesse né fumasse. Il suo stile di vita era studiato anche prima del suo
avvento al governo, ad imitazione del suo essere nazista da parte soprattutto
degli adepti. I giornali del tempo, comunque, riportavano come talvolta il
Führer si concedesse qualche fettina di prosciutto, degli gnocchetti di fegato
bavaresi, del piccione, del caviale e dei cioccolatini, malgrado i suoi
interessi, citati anche in conversazioni con amici e altri intimi, vertessero
sulla possibilità di cibarsi solo di frutta, verdura e cereali crudi, perché la
cottura, sterilizzando gli alimenti, li privava del loro naturale potere
benefico. Si interessava dell’uso delle erbe e dei bagni terapeutici di acqua
fredda; sosteneva la necessità di utilizzare olio d’oliva, molto salutare,
limitando l’uso del grasso di balena, anche per evitare la decimazione dei
cetacei. Sembra che la maggiore influenza sugli usi alimentari di Hitler
l’avesse avuta Richard Wagner, sostenitore di come e quando la razza umana si
fosse mescolata e contaminata proprio per l’utilizzo di carne. Le teorie sulle
abitudini alimentari di Hitler sono molte: alcune sostengono che la motivazione
vera alla rinuncia alla carne derivasse dall’aver preso alla lettera l’appello
wagneriano; altri sostengono che avesse problemi digestivi derivanti dalla
difficoltà di metabolizzare la carne, da cui il relativo privarsene; altri
ancora sostengono che la propaganda contro l’uccisione degli animali a scopo di
alimentare l’uomo, non fosse altro che una modalità per dipingere il capo
supremo della Germania nazista come buono e premuroso, per sfatare l’idea del
persecutore senza scrupoli. Non ci sono prove certe che Hitler temesse di
contrarre il cancro, mentre è certo che altri gerarchi fossero fautori delle
terapie naturali, come Himmler che sosteneva l’uso di verdure crude, la
medicina naturale, il prendere esempio dalle diete orientali. Himmler odiava
l’obesità e lanciò una campagna per combatterla tra le SS che dirigeva. Fu sua
l’idea di piantumare nei campi di concentramento e in alcune caserme orti di
erbe, così come si oppose alla distribuzione di miele artificiale alle SS, e
all’adulterazione degli alimenti. Himmler era fautore di una pubblicità rivolta
alle casalinghe affinché si abituassero a salvaguardare la salute partendo dal
cibo che preparavano per i figli e in casa in genere. Anche Rudolf Hess
sosteneva l’omeopatia e l’uso di erbe medicinali e sembra che fosse
vegetariano, al punto di infastidire Hitler perché alle riunioni si portava il
pasto da scaldare, disdicendo di consumare i pasti della cuoca dietologa di
Hitler stesso. La risposta era relativa agli alimenti biodinamici del pasto di
Hess che, comunque, ottenne di essere invitato più raramente a pranzo con
Hitler. Le abitudini alimentari di Hitler divennero importanti perché egli
incarnava gli ideali della Germania nazista, quindi egli rappresentava il
tedesco ideale: a lui, dunque, bisognava rifarsi per essere, o diventare, bravi
nazisti. Il corpo di Hitler divenne oggetto di venerazione ed emulazione, tanto
che tantissimi uomini tedeschi del tempo portavano baffetti come il Führer il
quale, secondo i detrattori, si era fatto crescere i baffi per nascondere delle
narici “ebraiche”, mentre delle canzoncine inglesi scherzavano sulla
malformazione dei suoi genitali. Hitler decise, quindi, con una deliberazione
del 1937, di vietare l’attenzione sul suo corpo, forse anche perché le sue
abitudini vegetariane erano diventate pretesto per la pubblicità di una
fabbrica; molto più probabilmente per non essere messo in ridicolo.
L’astenersi
dal bere alcol di Hitler diede forza a tutte le associazioni che già da tempo
si battevano, in Germania e in Austria, contro l’abuso di alcol. Pertanto si
approfittò della situazione per sostenere con i giovani che la loro virilità si
sarebbe misurata non dalla capacità di bere birra, ma di rimanere sobri. Anche
l’alcol venne imputato di causare il cancro, così come Lehmann aveva indicato
in un suo studio del 1919, secondo il quale birrai, baristi e similari
presentavano un’alta incidenza di cancro. Lo stesso Liek, astemio da prima
della Grande Guerra, sosteneva che l’alcol fosse causa di gravi malattie, dai
problemi ai nervi a molto altro. Per questo motivo, l’ascesa al potere di
Hitler venne vista di buon occhio da tutti coloro che si battevano contro l’uso
di alcolici, anche grazie alle esternazioni dello stesso pubblicate su molti
periodici già dagli anni Venti. Egli sosteneva, infatti, che il popolo si
dovesse liberare da quel veleno, in modo da poter essere il forte popolo tedesco
che le sue teorie profetizzavano. Già nel 1933 venne vietato di bere durante la
celebrazione della festa nazionale del lavoro, la festa che sostituiva le
celebrazioni del primo maggio. Se era difficile sradicare dai tedeschi l’idea
di bere birra, si doveva cercare di rafforzarne il carattere e anche di
risparmiare miliardi di marchi l’anno, spesi in alcol anziché in altri
acquisti. Varie leggi, sempre dal 1933 in avanti, vietavano le pubblicità di
alcolici, e questo soprattutto per cercare di arginare un’altra piaga tedesca:
il numero di incidenti stradali, i più dei quali erano da imputare proprio
all’uso e abuso di alcolici. Nel 1940 venne lanciata “l’operazione tè” nei
luoghi di lavoro: notevoli quantità di tè vennero distribuite in tutte le
fabbriche in cui gli operai si trovassero a lavorare a temperature alte, per
favorire il bere bevande meno pericolose della birra o di altri alcolici. Si
incentivò anche la campagna a favore delle tisane, dei succhi di frutta, del
succo di pomodoro e similari. Nel 1938, il sidro venne nominato ufficialmente
“bevanda del popolo”, mentre nell’ottobre del 1939 venne vietata la vendita di
alcol nelle osterie. Gli studi affermano, tuttavia, che se i tedeschi
consumavano meno alcol era per l’effetto della contrazione del potere
d’acquisto, più che per le campagne messe in atto, tanto che i livelli di
consumo di alcolici furono praticamente costanti, se si considera flessioni e
ripresa. Ad esempio, la produzione di vino aumentò dell’80% nei primi cinque
anni di governo nazista, così come aumentò la produzione di spumanti;
aumentarono anche le produzioni di alcolici (per quanto vietate) da prodotti
succedanei.
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