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sabato 19 novembre 2022

Compendio 1945. Internamento III Fronte L' articolo 47 del Codice Penale Militare Tedesco

 

Un altro aspetto che va ascritto al popolo tedesco in senso negativo che rappresenta una forma larvata di vigliaccheria e di arbitrio è una norma che per tutto il secondo dopoguerra è stata ampiamente evocata durante i processi a militari tedeschi accusati di crimini contro l’umanità.

 

Questa norma permetteva nel 1945, ed anche negli anni precedenti, ad ogni tedesco armato di compiere i più efferati delitti e crimini contro i suoi simili, senza che ne fosse chiamato a rispondere; in pratica lo trasformava da uomo pensante in un animale feroce senza freni. Quello che abbiamo definito per i nostri militari Internati in Germania l’”inferno nell’inferno” origina da questa norma giuridica che di legale e civile a poco e nulla e a riportato un paese che si definiva civile alla più pura barbaria.

 

Un'altra norma che incise fortemente nel comportamento dei militari tedeschi è il paragrafo 47 del Codice Militare Penale tedesco. Un paragrafo che nel dopoguerra offrì a tutti gli accusati di crimini di guerra una comoda via d’uscita per liberarsi delle responsabilità personali dei crimini commessi.

 

Scrive ancora Gerard Schreiber.

“se nell'esecuzione di un ordine di servizio viene violata una legge penale il solo responsabile e il superiore che ha impartito quell'ordine”. In un ambiente dove vigeva il principio di ordine e obbedienza il disposto del paragrafo serviva probabilmente nei casi dubbi a togliersi qualche peso dalla coscienza. Il dipendente poteva essere tuttavia accusato di concorso nel reato qualora avesse ecceduto nell'eseguire l'ordine o fosse stato a conoscenza che l'ordine del superiore riguardava un'azione finalizzata ad un reato di carattere civile o militare.

Il paragrafo 47, quindi, mentre stabiliva che gli appartamenti e le Forze Armate tedesche non avevano né la facoltà né il dovere di eseguire ordini criminali, sottraeva nel contempo da ogni procedimento giudiziario tutti coloro i quali, avendone o meno il diritto, si fossero difesi in modo convincente appellandosi alla clausola della consapevolezza. E’ lecito supporre che quel paragrafo 47 non facesse che cresce l'ignoranza ed attenuasse gli scrupoli morali specie in tempo di guerra quanto erano in gioco delle vite umane, ossia il bene più prezioso in uno stato di diritto.”[1]



[1] Schreiber G., Gli Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich. 1943 -1945. Cit. pag. 746 e segg.

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