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martedì 18 marzo 2025

Tesi di Laurea . Elda Franchi. Terrorismo. I Campi di concentramento in Cina.

 “TERRORISMO E ANTITERRORISMO INTERNAZIONALE”

Terrorismo. i campi di concentramento in Cina                         

ANNO ACCADEMICO 2023/2024

(dalla presente tesi si estrae il paragrafo  - capitolo III - I Laogai: storia ed utilizzo)


 I Laogai: storia e utilizzo

Il sistema carcerario cinese si divide in vari livelli, caratterizzati da diversi gradi di controllo e di repressione: esistono, infatti, i campi di riforma attraverso il lavoro, i campi di rieducazione attraverso il lavoro e i campi di destinazione professionale obbligatoria. Il termine Laogai, la cui traduzione letteraria è “riforma attraverso il lavoro”, indica una particolare forma di lavoro forzato della Repubblica Popolare Cinese e, se utilizzato in termine restrittivo, indica un vero e proprio campo di concentramento. Questo termine ha assunto un significato generico e designa tutta la realtà concentrazionaria cinese. I Laojiao, letteralmente “rieducazione attraverso il lavoro”, sono previsti per coloro che hanno compiuto reati minori, per coloro che hanno commesso “errori” più che “crimini” e che non vengono quindi classificati come criminali. La particolarità di questo tipo di carcere sta nell’indottrinamento politico caratterizzato da sessioni di studio giornaliere dopo ore di lavoro forzato, nel quale i carcerati conservano i diritti civili per tutta la loro permanenza nel campo. Infine i Jiujie, letteralmente “destinazione professionale obbligatoria”, inflitta prima del 1961 ai detenuti che venivano rieducati attraverso il lavoro, e vista come una forma indiretta di reclusione poichè i detenuti ricevono un salario mensile in quanto fsia prevista l’assegnazione di un lavoro all’interno di una struttura carceraria, possono ancora godere dei diritti civili, godono di libertà di movimento e possono uscire ogni quindici giorni, prendono i pasti alla caffetteria e soprattutto hanno a disposizione dormitori, mense e sale di lettura. Alcuni possono addirittura avere una settimana di ferie l’anno per tornare a casa. In questa tipologia di carcere, la pena non è stabilita con precisione, non si conosce mai con esattezza la durata dell’incarceramento, e i lavoratori dei Jiuye non scelgono né l’impiego che andranno a svolgere, né il luogo del campo dove andranno a lavorare, lavorano complessivamente otto ore al giorno per sei giorni la settimana, non lavorano inoltre sotto sorveglianza armata, ma la Sicurezza Pubblica sovrintende tutto tramite delle norme ben precise. I Laogai rimangono il sistema carcerario più diffuso in Cina per prigionieri politici, dissidenti, rivoluzionari, criminali, nemici dello stato, nemici del popolo, donne e uomini appartenenti a minoranze etniche come gli Uiguri.

I Laogai furono istituiti da Mao Zedong nel 1950 basandosi sull’esempio sovietico dell’URSS e dei Gulag, anche se il lavoro forzato con scopi primitivi era una realtà presente già nel XVIII secolo con la dinastia Qing; esistono esempi precisi di questa collaborazione cino-sovietica negli anni cinquanta, dove degli esperti russi parteciparono al Comitato di Gestione della Riforma mediante il lavoro degli elementi reazionari del nord-ovest, all’estremismo del campo di Shinjing (nel Canton), e all’organizzazione del lavoro forzato in una miniera di carbone vicino a Fushun, per l’esattezza nel campo di Caohying a Shanghai.6

Dalla campagna contro la destra del 1958, l’irrigidimento politico si tradusse nel lavoro forzato, non vi erano più orari, si lavorava persino 16 ore al giorno, a volte anche di più. I primi campi fecero la loro comparsa nelle zone controllate dai comunisti, con un primo periodo un po’ caotico e con diverse sanzioni e torture verso i carcerati, erano campi caratterizzati da violenza brutale e sbrigativa, e l’orizzonte principale per i detenuti era la morte per fucilazione.

I Laogai si iniziarono ad organizzare in maniera più uniforme nel 1952-1953 dopo una prima riunione nazionale nel giugno del 1952 sul lavoro e l’indirizzo che i Laogai avrebbero dovuto assumere, ossia di una politica che combinava la rieducazione attraverso il lavoro. I Laogai avevano due scopi principali, quello divulgato di “riabilitare” i criminali attraverso il lavoro e l’indottrinamento politico, e quello celato di creare la manodopera necessaria per poter generare un favorevole sviluppo economico a costo quasi pari a zero. I primi prigionieri arrivarono già nel 1951, anno importante perché ci fu la riforma agraria, e per via della ridistribuzione delle terre vennero incarcerati molti proprietari terrieri e contadini; nello stesso anno vennero catturati anche dei trafficanti di oppio, delle donne accusate di prostituzione e uomini accusati di gioco d’azzardo. Nel 1951, il numero di Laogai presenti in Cina era pari a 292.

Dal 1954 al 1957 seguì una fase di relativa distensione, quasi da far pensare che i campi fossero scomparsi. La situazione peggiorò nuovamente nel 1961, e la mortalità aumentò: le razioni di cereali vennero sostituiti dalle erbe, steli delle spighe di mais, pula di cereali, foglie di patata, alghe, residui della spremitura di piante oleose7; nel 1961 la situazione peggio a tal punto che molti chiesero aiuto alle famiglie che vivevano nelle regioni meno colpite col fine di racimolare un po’ di cibo. La differenza rispetto ai campi sovietici è che li le guardie hanno sempre avuto cibo a sufficienza, come nei campi Nazisti, mentre nei Laogai pure i guardiani soffrivano.(3) Mao si rifiutava di riconoscere la catastrofe da lui stesso provocata, e venivano applicati i regolamenti normali, la disciplina era sempre più rigida, gli altoparlanti continuavano a diffondere il Verbo del Partito, mentre i detenuti erano costretti a cercare vermi, grano, o cereali non del tutto assimilati nello sterco di vacca e di cavallo, o addirittura tra gli escrementi degli ufficiali addetti alle cucine pur di sfamarsi.  

A partire dal 1972 la situazione iniziò ad acquistassi, anche se l’igiene e il cibo rimasero mediocri e la disciplina severa; per ogni detenuto diminuì il tempo dedicato allo “studio”, che risultava al momento meno efficace, ma rimaneva vigile il principio secondo il quale la liberazione del detenuto dipendesse dal suo comportamento all’interno del campo.

Nel periodo Maoista (1949-1976), e prima delle riforme di Deng (1978-1992), questi campi di concentramento venivano utilizzati prevalentemente per reprimere le opposizioni al regime. Nei primi anni, i detenuti “controrivoluzionari” costituivano il 90% dei reclusi; i processi per incarcerare gli oppositori politici erano spesso solo una formalità, poiché la difesa poteva soltanto invocare la clemenza della corte, ma insistere troppo nella dichiarazione di innocenza portava ad un inasprimento della pena: “clemenza con chi confessa, severità con chi resiste”; il sistema giudiziario non era basato sul concetto di diritto.

E’ molto interessante sapere che il Laojiao inizialmente non dava certezze sulla durata della pena, al punto che alcuni detenuti arrivavano a commettere crimini più gravi per passare al Laogai, in quanto la erano previste delle pene di durata già prefissata. La situazione è cambiata nel 1982, quando il Comitato centrale diffuse una serie di documenti, uno di questi afferma: “I campi del Laogai e del Laojiao non sono solo punitivi, non si tratta di normali imprese incaricate di produrre figure professionali: sono scuole che educano e riformano criminali che hanno contravvenuto alla Legge”. La durata massima della condanna al Laojiao venne stata stabilita a tre anni. Nel periodo Maoista i condannati al Laojiao erano reclusi solitamente per 20 anni, mentre nel periodo Denghista la durata non superava i 10 anni.

Questo particolare sistema di lavoro si è sviluppato sotto l’esempio dei Gulag dell’età di Stalin, legati al piano quinquennale il cui obiettivo era la rapida industrializzazione dell’Unione Sovietica, detenendo in strutture carcerarie gli avversari del potere sovietico, sfruttandoli per arricchire la Nazione, per esportare le materie prime in cambio di tecnologia occidentale. I Gulag Sovietici prevedevano la “punizione e la rieducazione politica attraverso il lavoro” e, come i Laogai, prevedevano lavoro forzato esercitato in condizioni orribili di fame, sporcizia, terrore, violenze e sfruttamento fino all’esaurimento. Ciò che differenzia queste due tipologie di campi di concentramento, tanto simili quanto differenti, è la peculiarità da cui è caratterizzata la variante cinese: la volontà dichiarata di cambiare l’uomo, il lavaggio del cervello.

Il sistema prevede tre fasi, durante le quali i carcerati devono riconoscere le proprie colpe e i propri crimini, devono accusarsi e auto-criticarsi per averle compiute e devono sottomettersi alle autorità tramite un processo di pentimento pubblico con atto di soggezione al lavoro, arrivando così a sconvolgere la propria personalità e a dare la completa adesione al potere che li sovrasta. Il rimorso non è sufficiente: ci vuole il pentimento.

I principi della critica e dell’autocritica possono essere ricondotti a quattro regole principali:

1.      L’ideale è che la confessione sia spontanea e volontaria, che si produca autonomamente nel momento in cui il cittadino commetta un errore o infranga una regola.

  1. Se ciò non accade, è necessario “prestargli assistenza” per consentigli di riconoscere i suoi errori e i suoi crimini.
  2. Se questa “assistenza” non da alcun frutto, allora devono entrare in gioco le “critiche mosse con buona volontà mosse da persone ben intenzionate”.
  3. In ultima istanza, una volta applicati tutti i metodi disponibili, viene posto il colpevole in condizioni di non nuocere, con tutta la severità che merita.

I prigionieri tramite delle “sessioni di studio” forzato giornaliere, una lunga confessione scritta, lunghe e insopportabili sedute di indottrinamento, vengono portati a riconoscere quanto fosse sbagliato il loro modo di pensare, profondamente differente dall’unico modo consentito e corretto; queste sessioni di studio sono seguite da autocritiche e punizioni, autodenunce e autoflagellazioni, tutte volte a capire gli sbagli fatti in precedenza. Ciascuno deve non soltanto riformare se stesso, ma aiutare gli altri a fare la stessa cosa e, addirittura, denunciare chi si rifiuta di cambiare.

Nei Gulag sovietici, invece, non ci fu mai un tentativo di modificare il pensiero dei civili da parte dello Stato.

Queste “sessioni di studio” vengono messe in pratica dopo ore di lavoro forzato che si aggirano intorno alle 16-18 ore al giorno e variano da campo a campo, in base al tipo di attività che si svolge, ovvero industriale, agricola o estrattiva: i turni prevedono pesantissimi turni in miniera, nei campi, nelle fabbriche, in condizioni pericolosissime e malsane, tutto volto a vantaggio del Regime Comunista Cinese e di numerose imprese che investono in Cina: i Laogai vengono utilizzati come mezzo ulteriore per aumentare i profitti a costo quasi pari a zero.

Le merci prodotte nei Laogai possono essere di qualsiasi tipo: dalle scarpe, ai giocattoli, ai macchinari e parti meccaniche di ogni tipo, prodotti chimici, profumi e saponi, materiali estratti dalle miniere, thè e vino ecc; la Laogai Research Foundation, insieme ad altri gruppi umanistici, hanno individuato alcune merci prodotte nei Laogai sui mercati internazionali, nonostante le autorità cinesi le camuffino per renderle impossibile da riconoscere.

Purtroppo, per il regime cinese, i Laogai restano la forma di detenzione più efficace per garantire una grande quantità di manodopera a costo zero ed è importante dal punto di vista economico poiché contribuisce anche a conquistare i mercati stranieri. Inizialmente tutto quello che veniva prodotto (ovvero oggetti facilmente assemblabili), era destinato al mercato interno, ma con il passare degli anni si è iniziato a produrre di tutto: dai giocattoli agli elettrodomestici, destinati al mercato mondiale. Tuttavia, in alcuni Paesi europei la produzione delle merci fabbricate con questa modalità è proibita e molto spesso si richiede l’applicazione di un’etichetta che garantisca l’estraneità rispetto al sistema dei Laogai.

I campi sono organizzati secondo un modello militare, con la suddivisione dei prigionieri in squadroni, compagnie, battaglioni, distaccamenti e brigate. Uno squadrone comprende 10-15 detenuti, 10-15 squadroni formano una compagnia, con quattro o cinque responsabili di compagnia; 8-12 compagnie formano un battaglione e diversi battaglioni formano un distaccamento.

Le condizioni di vita dei prigionieri sono orribili, sono marchiati uno ad uno, non hanno letti su cui dormire, non hanno cibo da poter mangiare, hanno la testa rasata a zero. Gli alloggi variano secondi il tipo di produzione, da edifici in muratura, a baracche, capanne di legno. Alcune testimonianze affermano che i detenuti che lavorano nei campi, sono in qualche modo fortunati perché possono sfamarsi da soli con rane, serpenti, ratti, soia e riso che trovano mentre lavorano.

Negli anni si è capito anche dell’utilizzo di varie torture che vengono attuate per obbligare la vittima a fornire informazioni, o per riformarla e modificarle il comportamento o il modo di pensare: alcune sono la camicia di forza, scariche elettriche o pestaggi con un bastone elettrico, sospensioni per le braccia, pestaggi, isolamento forzato per diversi giorni senza cibo in celle di due massimo tre metri cubi, gli aghi (metodo che consiste nell’infilare degli aghi d’acciaio di circa 10 centimetri sul collo, schiena, petto e altre parti sensibili, così in profondità che risulta difficile tirarli fuori), la panca della tigre (la vittima si siede su una panca di ferro con le ginocchia legate alla panca, le mani legate dietro il petto o appoggiate sulle ginocchia, e la vittima viene obbligata a stare dritta senza poter fare alcun movimento), il letto dei morti (consiste nel legare la vittima con le braccia dietro la schiena e il collo legato alle gambe, poi viene incastrata sotto un letto e costretta a rimanere in quella posizione per molti giorni), abusi sessuali con vari strumenti (tortura riservata alle donne), il letto di stiramento (le mani e i piedi della vittima vengono legate a degli anelli e portato a stiramento estremo; se applicata troppa forza la vittima muore all’istante, altrimenti, passati 10 minuti, le ossa degli arti si slegano e la vittima rimane disabile in modo permanente), ma ve ne sono molte altre ancora. Ecco perché molti spesso ricorrono al suicidio come unica soluzione.

Anche all’inizio degli anni Novanta i campi continuavano ad essere al centro dell’apparato di Controllo del partito, anche se le cifre sembrerebbe che fossero in ribasso. Dal 29 dicembre 1994 il termine Laogai è stato sostituito dal termine “Prigione”: al suo posto viene impiegato il termine Giayu; la “Gazzetta legislativa” del 7 gennaio 1995 scrive: “Il cambiamento di denominazione del Laogai è imposto dai legami con la comunità internazionale e risulta proficuo nell’ambito della nostra lotta per i diritti dell’uomo sul piano internazionale8.

Nonostante la scomparsa della parola Laogai, il suo utilizzo, i metodi, la funzione, il carattere e i compiti sono rimasti invariati: si parla sempre di sovraffollamento, uniforme obbligatoria con numero di matricola, condizioni pessime, produzione mineraria, tessile e meccanica, orari di lavoro.

La riforma di apertura non ha comunque modificato la sorte di milioni di donne e uomini rinchiusi all’interno dei campi.



6 J.-L. Domenach, op. cit., p.103

7 Ivi, p.90. ; (3)J.L. Domenach, op. cit., p.103

8 H.Wu, Retour au laogai, cit., p.231


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