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giovedì 30 aprile 2015

24 aprile 2015. Un anniversario da ricordare. Turchia ed Armenia.

Genocidio armeno
Sotto la lente del diritto internazionale
Marina Mancini
23/04/2015
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La commemorazione del centenario del genocidio armeno avrebbe potuto costituire per la Turchia un’occasione per riconoscere quell’immane tragedia che, durante la prima guerra mondiale, portò alla quasi totale scomparsa della minoranza armena dall’Impero ottomano. Nessun riconoscimento è invece giunto dal Governo turco, fermo nella propria posizione negazionista.

Si stima che circa un milione e mezzo di persone abbiano trovato la morte nell’ambito del piano diretto alla cancellazione della presenza armena dal territorio dell’Impero, orchestrato dal movimento nazionalista dei Giovani Turchi all’epoca al potere e attuato mediante massacri, deportazioni, violenze sistematiche, sottoposizione a condizioni di vita inumane e altri atti volti a provocare l’eliminazione fisica degli armeni.

Il genocidio è commemorato ogni anno in Armenia e in diversi altri Paesi il 24 aprile, in ricordo del giorno in cui nel 1915 molti intellettuali e notabili armeni furono arrestati a Costantinopoli e trasferiti in centri di detenzione, dove vennero in seguito uccisi: evento che segnò l’inizio della campagna di distruzione della comunità armena nell’Impero ottomano.

La posizione turca
La dura reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan al riconoscimento del genocidio da parte di Papa Francesco, durante la messa in San Pietro del 12 aprile scorso, ha riacceso i riflettori su una pagina nera del proprio passato con cui la Turchia si rifiuta ancora di fare i conti.

In un messaggio formulato il 24 aprile 2014, Erdoğan, allora primo ministro, porse per la prima volta le proprie condoglianze ai discendenti delle vittime, inquadrando tuttavia le atrocità subite dagli armeni nell’ambito delle sofferenze patite da tutti i cittadini dell’Impero negli ultimi anni della sua esistenza. La posizione turca è infatti che non si sia trattato di genocidio.

La Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio
Occorre precisare che all’epoca dei fatti il termine genocidio non esisteva nemmeno. Questo fu coniato dal giurista polacco Raphael Lemkin nel 1944. Ad una definizione del genocidio si arrivò nel 1948, quando nell’ambito delle Nazioni Unite fu adottata la Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio.

Secondo la Convenzione, la commissione di un genocidio richiede l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e può avvenire mediante i seguenti atti: uccisione di membri del gruppo; inflizione di gravi sofferenze fisiche o psichiche a membri del gruppo; sottoposizione del gruppo a condizioni di vita dirette a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte; imposizione di misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo.

Il trattato di Sèvres
Peraltro, già il 24 maggio 1915 le Potenze alleate condannarono i massacri nei confronti degli armeni, qualificandoli come “crimini contro l'umanità”, e annunciarono di ritenerne personalmente responsabili tutti i membri del Governo ottomano.

Nel trattato di pace firmato a Sèvres nel 1920, la Turchia si obbligò a consegnare alle Potenze alleate gli individui che esse ritenessero “responsabili dei massacri commessi durante lo stato di guerra” nel territorio dell’Impero. Questi avrebbero dovuto essere processati da tribunali istituiti dalle Potenze alleate, salvo che nel frattempo la Società delle Nazioni non avesse creato un tribunale competente a giudicarli (art. 230).

Il Trattato di Sèvres, tuttavia, non entrò mai in vigore. Nel 1923, fu concluso a Losanna un nuovo trattato di pace, che non incorporò le disposizioni in questione.

Il riconoscimento del genocidio
Il genocidio armeno è stato riconosciuto dai Governi e/o dai Parlamenti di numerosi Stati, tra cui la Francia, la Grecia, l’Olanda, la Svezia e l’Argentina.

Il Parlamento europeo lo ha riconosciuto per la prima volta nel 1987. Nella relativa risoluzione, richiamata in quella adottata il 15 aprile scorso, è opportunamente sottolineato che la Turchia attuale non può essere ritenuta responsabile per le atrocità subite dagli armeni nell’Impero ottomano e che pretese risarcitorie nei suoi confronti non possono derivare dal riconoscimento del genocidio come fatto storico.

È questo un punto che il Governo turco non ha evidentemente afferrato, se ancora il 15 aprile, riferendosi al genocidio armeno, Erdoğan ribadiva che la Turchia non avrebbe mai accettato “una tale macchia”.

Alla luce di ciò, la proposta, da lui stesso formulata l’anno scorso, di una commissione storica, composta da studiosi turchi, armeni e di Stati terzi, che ricostruisca i fatti sembra essere solo un espediente per cercare di evitare la condanna della comunità internazionale e, di fatto, non è stata finora seguita da passi concreti.

Il riconoscimento del genocidio armeno da parte di Ankara appare in ogni caso indispensabile per la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia, che è a sua volta ritenuta importante ai fini dell’ammissione della Turchia nell’Unione europea, come sottolineato da una portavoce dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini. Un cambiamento di passo da parte del Governo turco sulla questione potrebbe pertanto contribuire a dare nuovo impulso ai negoziati sull’ammissione.

L’Italia, che è un importante partner commerciale di Ankara, invece di limitarsi alle prudenti dichiarazioni dei giorni scorsi nel timore di ritorsioni turche, potrebbe utilizzare la propria posizione per esercitare una sapiente azione diplomatica diretta a favorire tale cambiamento. Naturalmente, occorrerebbero volontà politica e persone capaci.

Marina Mancini è docente di Diritto internazionale penale nel Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e ricercatrice di Diritto internazionale nel Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

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