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mercoledì 22 marzo 2017

"Il Mio Magone albanese" di Aldo Terrusi. Una pseudo testimonianza



Un Commissario politico albanese, non meglio identificato, fornisce la sua deposizione scritta al Consiglio del Tribunale Militare di Valona accusando Giuseppe ed altri civili di vari “misfatti” (App. 1).

Circolare 1 (App.1)

            Riguardo ai movimenti di alcuni italiani a Valona, la situazione si presenta nel modo seguente: a Valona si trovano più di 20 individui e  tra questi si distinguono come i più pericolosi:
1, D’Andrea, venditore di radio a Valona, 2, Belluzzi, ex Vice Console a Valona con il grado di Tenente Colonnello, 3, Terrusi, Direttore della Banca Nazionale a Valona, che ha consegnato il contante della banca ai tedeschi per non farlo prendere all’Esercito di Liberazione Nazionale (1*). Molto pericoloso. 4, Sinopoli, intermediario vicino al Clero Cattolico, 5, altri due Cattolici. Tutti loro sono molto legati gli uni con gli altri, hanno promosso, tra gli italiani di Valona, riunioni con obiettivi politici reazionari, 6, Monai e Verdi sono pericolosi e subdoli, lavorano in incognito, 7, Orlandi, molto pericoloso e manipolatore fa il doppio gioco, al momento aiuta l’Esercito di Liberazione Nazionale in modo apparentemente trasparente, è uno di quelli che seguono l’ideologia fascista. Per alcuni di loro è arrivato l’ordine, da parte del Generale Bonomi (2*), di arrestarli come criminali di guerra per i crimini che hanno commesso sulle spalle del popolo italiano. Il motivo per cui non sono stati arrestati e  sono stati lasciati liberi è stato per poter aiutare Verdi, ex Capitano di SIMI, a propagandare il fascismo. Tutti coloro sono alleati reazionari e molto dannosi per noi, altri italiani li accusano degli stessi reati,  un totale di 24 dichiarazioni che vengono allegate (3*).
Tra  queste dichiarazioni alcune contengono i misfatti nel distretto di Valona evidenziando gli abusi che sono stati perpetuati. Gli italiani che hanno rilasciato questi rapporti sono i sotto elencati: l’Ing. Delogu, l’impiegato bancario Chilovi,  l’impiegata bancaria Marina Piceci (4*).
Tutti e tre sono intellettuali e odiano gli imputati. Sono persone amanti della libertà e chiedono con insistenza di prendere misure restrittive contro di loro. Gli imputati sono reazionari e molto dannosi per la situazione odierna e soprattutto nel distretto di Valona, questi devono essere arrestati e devono essere trasferiti per un breve periodo in un altro luogo; l’allontanamento dal distretto di Valona cambierebbe totalmente la situazione riattivando il popolo italiano del Fronte Nazionale Comunista per la Liberazione.
Francesco e Rosati Diego (infermieri), il Maggiore Granata Raffaele e il Capitano dei Carabinieri Verdi (rappresentante dell’esercito), il Commissario Vasta Giuseppe per l’assistenza tra gli italiani, si sono riuniti negli uffici del Capitano Verdi e di Vasta, in accordo con Terrusi, Belluzzi e Giudice. Tutti loro hanno fatto parte delle file fasciste con alti incarichi di responsabilità. Nessuno di loro, tranne un amico e un partigiano, aveva un potere limitato o era un operaio (5*).
Quel Comitato si è riunito per fondare il Circolo Garibaldi (6*) (7*).

 (1*) Come prova dell’odio di Giuseppe verso i tedeschi esistono tre lettere autografe, private, indirizzate alla sorella Chiara in Italia, già citate nel presente volume, che portano date anteriori alla carcerazione, nelle quali è palese l’avversione di Giuseppe verso il nazismo e l’occupazione tedesca dell’Albania. Ovviamente essendo Giuseppe, Direttore di una Banca importante, la denuncia più ovvia ed infamante è quella di aver consegnato spontaneamente dei soldi al nemico.
E’ evidente come, certe accuse, miravano a distorcere e rovesciare la realtà dei fatti con ipotesi perverse senza il supporto di alcuna documentazione.

Lettera ( a )
Valona 22 ottobre 1944… Siamo stati liberati da circa 10 giorni e i briganti tedeschi sono andati via vergognosamente....
Lettera ( b )
Valona 27 novembre 1944… I vigliacchi tedeschi ne hanno combinate di tutti i colori e commesso tutte le atrocità possibili: abbiamo passato giorni di incubo e di terrore e anch’io sono stato sul punto di essere confinato…
Lettera ( c ) è inserita in originale (App.17).
Valona 8 gennaio 1945…Dal giorno della liberazione di Valona da parte delle truppe partigiane che hanno messo in fuga i briganti tedeschi (briganti nel senso peggiore), voglio sperare che tutti ve la passiate in buona salute e che quanto prima ci si possa riabbracciare…


(2*) Il riferimento è al “Protocollo preliminare di intesa” concluso il 2 agosto 1920 tra Italia ed Albania che stabiliva un’amnistia reciproca per reati di tipo militare. In particolare è completamente falsa e fuorviante l’accusa del presuntuoso Commissario politico.

(3*) Le dichiarazioni allegate che vedremo più avanti, non sono atti di accusa ma piuttosto di merito per Giuseppe...tranne una evidentemente prezzolata!

(4*) Il rapporto del Commissario si basa anche sulle informazioni fornite dell’Ing. Delogu, dell’impiegato bancario Chilovi e dell’impiegata bancaria Marina Piceci, che sono tutte testimonianze per “sentito dire”.
Non ha alcuna importanza chi siano i “testimoni”, come agiscono, da che parte stanno, l’importante che denuncino.

(5*) Per l’informatore è importante sostenere le accuse: sono intellettuali italiani, quindi fascisti, pertanto sono “pericolosi e dannosi” a prescindere. Gli albanesi amici degli italiani, sono collaborazionisti perciò meritano la stessa sorte. 
Il fantomatico giustiziere parla di Delogu, Chilovi e Piceci di “persone amanti della libertà” perché testimoni in favore delle proprie tesi, contrapponendole al gruppo che lui aveva individuato come “persone pericolose”.
Il poveretto non immagina nemmeno quanto la sua gente soffrirà i 50 anni della utopistica e fanatica dittatura di Enver “amante della libertà”, e quanti lutti colpiranno le famiglie albanesi!
Chilovi e Piceci confermano l’accusa solo a voce, senza firmare le loro dichiarazioni che sono sostanzialmente basate su ciò che hanno sentito. Essi indecisi e insicuri, privi di prove concrete, inducono il Commissario a chiedere al tribunale l’allontanamento del Direttore Terrusi e del Vice Direttore Belluzzi dalla Banca di Valona “per motivi di ordine pubblico” e “per qualche tempo”.
Tale richiesta è evidentemente legata ai difficili rapporti personali tra loro e la direzione della Banca e non ha nulla a che fare con le questioni politiche e militari albanesi.

(6*) L’informatore inoltre indica il Circolo Garibaldi quale covo nel quale si riuniscono persone “per l’assistenza agli italiani” da cui deduce il reclutamento di soldati italiani. Inoltre, afferma, che gli atti di pietà intrapresi dal Circolo, sono “dannosi per la comunità”, e che i soci, “fanno riunioni con obiettivi politici reazionari”.
In seguito alla furibonda e bestiale ritorsione nazista dopo il famigerato 8 settembre 1943, una grande gara di solidarietà ebbe luogo tra gli abitanti di Valona: grazie a essa molti militari italiani portarono a casa la pelle, salvandosi dai rastrellamenti e dalle deporta­zioni.
Il Circolo Garibaldi di Valona, nato con scopi ricreativi e culturali, che Emma Covi, moglie di Vitaliano Poselli, aveva fondato nel 1939 e ne era stata eletta presidente, aveva cambiato volto, era diventato una succursale per la sopravvivenza di molti militari italiani ed albanesi disperati al fine di proteggerli dalle persecuzioni, dai rastrellamenti e dalle deportazioni che si stavano perpetuando nei loro confronti dai nazisti. Tutto ciò veniva fatto solo per umana pietà e carità cristiana e nulla aveva a che fare con azioni di guerriglia, spionaggio o reclutamento.
Vennero organizzate raccolte di fondi per acquistare vestiti, scarpe, ecc. nonché per soccor­rere, alimentare e curare tanti giovani sbandati che erano rimasti letteralmente senza niente.
Due di essi, in particolare gli ufficiali dei carabinieri Nino Tagliani e Mario Verdi, trovarono,  per qualche tempo, ospitalità nella cantina della villetta che Emma occupava con il marito Vitaliano, geniale imprenditore, che si trovava accanto alla Ban­ca Nazionale di cui Giuseppe Terrusi era il direttore. Le loro armi: spade e pistole furono nascoste nel pozzo della villetta. La spola dei due capitani tra la villetta e la Banca (attraverso un passaggio nel giardino) avveniva a secondo delle modalità di perquisizione delle truppe tedesche.
Per la generosità e l’abnegazione dimostra­ta, Emma ottenne in seguito un riconoscimento ufficiale dalle autorità italiane.

(7*)  I due Capitani dei carabinieri, Tagliani e Verdi, accomunati nel loro tragico destino, rimasero in contatto con la nostra famiglia, protetti dagli amici del Circolo “Garibaldi”, fino ad ottobre del 1949 quando ci rimandarono in Italia come profughi, avvisati della partenza della nave “Stadium” per l’Italia, si presentarono all’imbarco in abiti civili ma riconosciuti furono fermati. Da notizie filtrate dagli amici albanesi: dopo la loro cattura furono deportati in un campo di concentramento. Sospettati come spie, furono incarcerati e condannati a lunghi anni di detenzione durante i quali vennero sottoposti ad umiliazioni e torture. Pur ridotti in pietose condizioni fisiche, i carnefici albanesi, non riuscirono mai a piegare la loro fierezza e il loro ammirevole esempio di fedeltà. Essi sono tra i tanti militari italiani di cui si sono perse le tracce.
A questo proposito è molto interessante la lettera autografa del Capitano Orombelllo G.Battista all’amico, Maresciallo Dibilio Salvatore:
Due comunicazioni ufficiali avevano comunicato la mia morte “Catturato dai Tedeschi in Albania e dagli stessi fucilato”. Dopo che ci siamo separati in seguito al pericoloso sbandamento del gennaio 1944, vissi molte ore gravissime e rischiose. Con una banda catturai il presidio tedesco del Ponte Drayote sulla Vaiussa (presso Tepelenë), rendendo così possibile il passaggio dell’intero Raggruppamento di Battaglioni verso Argirocastro, salvandolo dall’accerchiamento. In combattimenti immediatamente successivi, trovandomi con la retroguardia in seguito a grave contusione al ginocchio sinistro, tenni a bada i Tedeschi e salvai ancora il Raggruppamento (col quale procedevano i capitani Verdi e Tagliani, ma fui catturato per la terza volta, assieme a 24 partigiani albanesi, e dopo due giorni di gravi sevizie, che mi costarono alcuni denti, perché comandante militare di partigiani, perché persistetti a non voler collaborare coi Tedeschi, perché trovata una pistola vicino al posto della mia terza cattura, perché non volli svelare i nomi dei capi Partigiani né l’itinerario che il Raggruppamento seguiva, né i depositi dei Partigiani, fui, il 31 gennaio 1944, condotto al posto di fucilazione contro un muro di Tepelenë.
Per miracolo mi sottrassi all’esecuzione, o meglio per premio alla mia assoluta fermezza di fedeltà al giuramento. Quella stessa fermezza che ebbi anche nell’ottobre 1943 quando, come ricorderà, nella valle di Ramitza-Smokina, appena ricevuto l’invito del generale Azzi, vi dissi che era una “questione di onore e di dignità nazionale andare a combattere col Comando Truppe Italiane della Montagna contro i Tedeschi”. E tutti mi avete seguito; anche Lei, che rinunziò ad andare, coi venti compagni, ad Himara per tentare l’imbarco per l’Italia meridionale. Perché vi era l’onore d’Italia da difendere!


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