Un Commissario politico albanese, non
meglio identificato, fornisce la sua deposizione scritta al Consiglio del
Tribunale Militare di Valona accusando Giuseppe ed altri civili di vari
“misfatti” (App. 1).
Circolare
1 (App.1)
Riguardo ai movimenti di alcuni
italiani a Valona, la situazione si presenta nel modo seguente: a Valona si
trovano più di 20 individui e tra questi
si distinguono come i più pericolosi:
1,
D’Andrea, venditore di radio a Valona, 2, Belluzzi, ex Vice Console a Valona
con il grado di Tenente Colonnello, 3, Terrusi, Direttore della Banca Nazionale
a Valona, che ha consegnato il contante della banca ai tedeschi per non farlo
prendere all’Esercito di Liberazione Nazionale (1*). Molto pericoloso. 4, Sinopoli,
intermediario vicino al Clero Cattolico, 5, altri due Cattolici. Tutti loro
sono molto legati gli uni con gli altri, hanno promosso, tra gli italiani di
Valona, riunioni con obiettivi politici reazionari, 6, Monai e Verdi sono
pericolosi e subdoli, lavorano in incognito, 7, Orlandi, molto pericoloso e
manipolatore fa il doppio gioco, al momento aiuta l’Esercito di Liberazione
Nazionale in modo apparentemente trasparente, è uno di quelli che seguono
l’ideologia fascista. Per alcuni di loro è arrivato l’ordine, da parte del
Generale Bonomi (2*), di arrestarli
come criminali di guerra per i crimini che hanno commesso sulle spalle del
popolo italiano. Il motivo per cui non sono stati arrestati e sono stati lasciati liberi è stato per poter
aiutare Verdi, ex Capitano di SIMI, a propagandare il fascismo. Tutti coloro
sono alleati reazionari e molto dannosi per noi, altri italiani li accusano
degli stessi reati, un totale di 24
dichiarazioni che vengono allegate (3*).
Tra queste dichiarazioni alcune contengono i
misfatti nel distretto di Valona evidenziando gli abusi che sono stati
perpetuati. Gli italiani che hanno rilasciato questi rapporti sono i sotto
elencati: l’Ing. Delogu, l’impiegato bancario Chilovi, l’impiegata bancaria Marina Piceci (4*).
Tutti
e tre sono intellettuali e odiano gli imputati. Sono persone amanti della
libertà e chiedono con insistenza di prendere misure restrittive contro di
loro. Gli imputati sono reazionari e molto dannosi per la situazione odierna e
soprattutto nel distretto di Valona, questi devono essere arrestati e devono
essere trasferiti per un breve periodo in un altro luogo; l’allontanamento dal
distretto di Valona cambierebbe totalmente la situazione riattivando il popolo
italiano del Fronte Nazionale Comunista per la Liberazione.
Francesco
e Rosati Diego (infermieri), il Maggiore Granata Raffaele e il Capitano dei
Carabinieri Verdi (rappresentante dell’esercito), il Commissario Vasta Giuseppe
per l’assistenza tra gli italiani, si sono riuniti negli uffici del Capitano
Verdi e di Vasta, in accordo con Terrusi, Belluzzi e Giudice. Tutti loro hanno
fatto parte delle file fasciste con alti incarichi di responsabilità. Nessuno
di loro, tranne un amico e un partigiano, aveva un potere limitato o era un
operaio (5*).
Quel
Comitato si è riunito per fondare il Circolo Garibaldi (6*) (7*).
(1*) Come prova dell’odio di Giuseppe verso i
tedeschi esistono tre lettere autografe, private, indirizzate alla sorella
Chiara in Italia, già citate nel presente volume, che portano date anteriori
alla carcerazione, nelle quali è palese l’avversione di Giuseppe verso il
nazismo e l’occupazione tedesca dell’Albania. Ovviamente essendo Giuseppe,
Direttore di una Banca importante, la denuncia più ovvia ed infamante è quella
di aver consegnato spontaneamente dei soldi al nemico.
E’ evidente come, certe accuse,
miravano a distorcere e rovesciare la realtà dei fatti con ipotesi perverse
senza il supporto di alcuna documentazione.
Lettera ( a )
Valona
22 ottobre 1944… Siamo stati liberati da circa 10 giorni e i briganti tedeschi
sono andati via vergognosamente....
Lettera ( b )
Valona
27 novembre 1944… I vigliacchi tedeschi ne hanno combinate di tutti i colori e
commesso tutte le atrocità possibili: abbiamo passato giorni di incubo e di
terrore e anch’io sono stato sul punto di essere confinato…
Lettera ( c ) è inserita in originale
(App.17).
Valona
8 gennaio 1945…Dal giorno della liberazione di Valona da parte delle truppe
partigiane che hanno messo in fuga i briganti tedeschi (briganti nel senso
peggiore), voglio sperare che tutti ve la passiate in buona salute e che quanto
prima ci si possa riabbracciare…
(2*) Il riferimento è al “Protocollo
preliminare di intesa” concluso il 2 agosto 1920 tra Italia ed Albania che
stabiliva un’amnistia reciproca per reati di tipo militare. In particolare è
completamente falsa e fuorviante l’accusa del presuntuoso Commissario politico.
(3*) Le dichiarazioni allegate che
vedremo più avanti, non sono atti di accusa ma piuttosto di merito per
Giuseppe...tranne una evidentemente prezzolata!
(4*) Il rapporto del Commissario si
basa anche sulle informazioni fornite dell’Ing. Delogu, dell’impiegato bancario
Chilovi e dell’impiegata bancaria Marina Piceci, che sono tutte testimonianze
per “sentito dire”.
Non ha alcuna importanza chi siano i
“testimoni”, come agiscono, da che parte stanno, l’importante che denuncino.
(5*) Per l’informatore è importante
sostenere le accuse: sono intellettuali italiani, quindi fascisti, pertanto
sono “pericolosi e dannosi” a prescindere. Gli albanesi amici degli italiani, sono
collaborazionisti perciò meritano la stessa sorte.
Il fantomatico giustiziere parla di
Delogu, Chilovi e Piceci di “persone amanti della libertà” perché testimoni in
favore delle proprie tesi, contrapponendole al gruppo che lui aveva individuato
come “persone pericolose”.
Il poveretto non immagina nemmeno
quanto la sua gente soffrirà i 50 anni della utopistica e fanatica dittatura di
Enver “amante della libertà”, e quanti lutti colpiranno le famiglie albanesi!
Chilovi e Piceci confermano l’accusa
solo a voce, senza firmare le loro dichiarazioni che sono sostanzialmente
basate su ciò che hanno sentito. Essi indecisi e insicuri, privi di prove
concrete, inducono il Commissario a chiedere al tribunale l’allontanamento del
Direttore Terrusi e del Vice Direttore Belluzzi dalla Banca di Valona “per
motivi di ordine pubblico” e “per qualche tempo”.
Tale richiesta è
evidentemente legata ai difficili rapporti personali tra loro e la direzione
della Banca e non ha nulla a che fare con le questioni politiche e militari
albanesi.
(6*) L’informatore inoltre indica il
Circolo Garibaldi quale covo nel quale si riuniscono persone “per l’assistenza
agli italiani” da cui deduce il reclutamento di soldati italiani. Inoltre,
afferma, che gli atti di pietà intrapresi dal Circolo, sono “dannosi per la
comunità”, e che i soci, “fanno riunioni con obiettivi politici reazionari”.
In seguito alla furibonda e bestiale
ritorsione nazista dopo il famigerato 8 settembre 1943, una grande gara di solidarietà ebbe luogo tra gli abitanti
di Valona: grazie a essa molti militari italiani portarono a casa la pelle,
salvandosi dai rastrellamenti e dalle deportazioni.
Il
Circolo Garibaldi di Valona, nato con scopi ricreativi e culturali, che Emma
Covi, moglie di Vitaliano Poselli, aveva fondato nel 1939 e ne era stata eletta
presidente, aveva cambiato volto, era diventato una succursale per la
sopravvivenza di molti militari italiani ed albanesi disperati al fine di proteggerli
dalle persecuzioni, dai rastrellamenti e dalle deportazioni che si stavano
perpetuando nei loro confronti dai nazisti.
Tutto ciò veniva fatto solo per umana pietà e carità cristiana e nulla aveva a
che fare con azioni di guerriglia, spionaggio o reclutamento.
Vennero
organizzate raccolte di fondi per acquistare vestiti, scarpe, ecc. nonché per
soccorrere, alimentare e curare tanti giovani sbandati che erano rimasti
letteralmente senza niente.
Due
di essi, in particolare gli ufficiali dei carabinieri Nino Tagliani e Mario
Verdi, trovarono, per qualche tempo,
ospitalità nella cantina della villetta che Emma occupava con il marito
Vitaliano, geniale imprenditore, che si trovava accanto alla Banca Nazionale
di cui Giuseppe Terrusi era il direttore. Le loro armi: spade e pistole furono
nascoste nel pozzo della villetta. La spola dei due capitani tra la villetta e la Banca (attraverso un
passaggio nel giardino) avveniva a secondo delle modalità di perquisizione
delle truppe tedesche.
Per la generosità e l’abnegazione
dimostrata, Emma ottenne in seguito un riconoscimento ufficiale dalle autorità
italiane.
(7*) I
due Capitani dei carabinieri, Tagliani e Verdi, accomunati nel loro tragico
destino, rimasero in contatto con la nostra famiglia, protetti dagli amici del
Circolo “Garibaldi”, fino ad ottobre del 1949 quando ci rimandarono in Italia
come profughi, avvisati della partenza della nave “Stadium” per l’Italia, si
presentarono all’imbarco in abiti civili ma riconosciuti furono fermati. Da
notizie filtrate dagli amici albanesi: dopo la loro cattura furono deportati in
un campo di concentramento. Sospettati come spie, furono incarcerati e
condannati a lunghi anni di detenzione durante i quali vennero sottoposti ad
umiliazioni e torture. Pur ridotti in pietose condizioni fisiche, i carnefici
albanesi, non riuscirono mai a piegare la loro fierezza e il loro ammirevole
esempio di fedeltà. Essi sono tra i tanti militari italiani di cui si sono
perse le tracce.
A questo proposito è molto
interessante la lettera autografa del Capitano Orombelllo G.Battista all’amico,
Maresciallo Dibilio Salvatore:
Due comunicazioni ufficiali avevano comunicato la mia
morte “Catturato dai Tedeschi in Albania e dagli stessi fucilato”. Dopo che ci
siamo separati in seguito al pericoloso sbandamento del gennaio 1944, vissi
molte ore gravissime e rischiose. Con una banda catturai il presidio tedesco
del Ponte Drayote sulla Vaiussa (presso Tepelenë), rendendo così possibile il
passaggio dell’intero Raggruppamento di Battaglioni verso Argirocastro,
salvandolo dall’accerchiamento. In combattimenti immediatamente successivi,
trovandomi con la retroguardia in seguito a grave contusione al ginocchio
sinistro, tenni a bada i Tedeschi e salvai ancora il Raggruppamento (col quale
procedevano i capitani Verdi e Tagliani, ma fui catturato per la terza volta,
assieme a 24 partigiani albanesi, e dopo due giorni di gravi sevizie, che mi
costarono alcuni denti, perché comandante militare di partigiani, perché
persistetti a non voler collaborare coi Tedeschi, perché trovata una pistola
vicino al posto della mia terza cattura, perché non volli svelare i nomi dei
capi Partigiani né l’itinerario che il Raggruppamento seguiva, né i depositi
dei Partigiani, fui, il 31 gennaio 1944, condotto al posto di fucilazione
contro un muro di Tepelenë.
Per miracolo mi sottrassi all’esecuzione, o meglio per
premio alla mia assoluta fermezza di fedeltà al giuramento. Quella stessa
fermezza che ebbi anche nell’ottobre 1943 quando, come ricorderà, nella valle
di Ramitza-Smokina, appena ricevuto l’invito del generale Azzi, vi dissi che
era una “questione di onore e di dignità nazionale andare a combattere col
Comando Truppe Italiane della Montagna contro i Tedeschi”. E tutti mi avete
seguito; anche Lei, che rinunziò ad andare, coi venti compagni, ad Himara per
tentare l’imbarco per l’Italia meridionale. Perché vi era l’onore d’Italia da
difendere!
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