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mercoledì 10 maggio 2023

Internamento in Germania. Il Versante femminile

 

 

Massimo Coltrinari

 

L’internamento in Germania, dopo l’8 settembre 1943 nel nostro Paese è una vicenda che ancora incide nella nostra coscienza  nazionale, anche se la percezione di questa tragedia ha una peculiarità: essa è vista prettamente solo sotto l’ottica maschile. Questo si verifica sia riguardo agli oppressori ( stato hitleriano , singoli nazisti) sia riguardo alle azioni ed alle reazioni delle vittime dell’internamento.

Queste dinamiche sono state sempre presentate e studiate come se l’Internamento interessasse solo gli uomini, relegando l’internamento a cui furono soggette le donne a profili marginali, quasi insignificanti, in una visione subalterna, nel substrato, forse anche inconscio, che la guerra e le sue conseguenze sono “cose da uomini”. E’ una costante che si perpetua dal momento della liberazione, al momento del ritorno in Patria, agli anni del dopoguerra, e per tutti i sessanta anni che ci separano da questa tragedia.

Analizzando nel dettaglio il versante femminile dell’Internamento non possiamo non partire da un cenno a chi erano gli oppressori e come consideravano la donna.  Nello stato nazista la concezione ideologia era stata approntata primariamente e forse esclusivamente da uomini, facendo appello alla durezza, alla spietatezza, alla mortificazione e negazione di   tutto quello che poteva anche apparire dolce, tenero e comprensivo. L’ideologia nazista quindi portava una profonda avversione per il sesso femminile, dividendo le donne in due parti: quelle appartenente ad una categoria superiore, e perciò in chiave di purezza della razza, di “alto valore riproduttivo” e quelle di categoria inferiore, a cui assegnavano in quanto tali, un “valore riproduttivo nullo”, ricorrendo in modo sistematico alla sterilizzazione, all’aborto, e poi anche alla loro soppressione. 

Appartenenti alla seconda categoria, coloro che erano internate, per motivi politici, religiosi, etnici ecc.,  in un lager avevano già contro tutto un apparato ideologico, a prescindere se ebrea, resistente, oppositrice, o ogni altra categoria, che infieriva contro la sua identità femminile

Appena entrata nel lager si attacca il suo aspetto esteriore, levandogli i vestiti, ogni oggetto personale, dandogli indumenti standardizzati ( i camicioni a righe), rasando le parti intime, tagliando a zero i capelli, eliminando la possibilità di pulizia e cura di se; si calpestano costumi radicati, come i denudamenti e le attese, nude, al chiuso e all’aperto, spesso sotto gli occhi di tutti.

Il trattamento che le donne ricevano nel lager e quindi più pesante di quello inflitto all’uomo. L’atmosfera è  impegnata perennemente di paura, di umiliazioni, di privazioni, di fatiche che in breve incidono  nella sfera prima psichica poi biologica.Prima manifestazione di questo è la scomparsa del ciclo mestruale. Nel prosieguo si straziano i valori della maternità e del materno: i figli vengono separati dalle madri oppure le madri li vedono morire nelle camere a gasa; le donne incinte al loro arrivo abortiscono o vengo fatte abortire oppure i neonati appena  nati non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza o addirittura uccisi. I bambini vagano per il campo ma è noto a tutti che hanno pochissime possibilità di sopravvivenza.

A questa esperienza la donna in quanto tale vi arriva impreparata, non come i loro coetanei maschili che gli obblighi militari di leva e l’addestramento alla guerra hanno in parte preparato. Per le resistenti, per coloro che salgono in montagna o entrano nei nuclei cittadini, pur nella consapevolezza di correre un rischio anche serio, non si arriva mai a prevenire quella che poi potrebbe essere l’esperienza di un lager tedesco. Le stesse donne ebree, che la storia e la tradizione e la luna sequenza di persecuzioni, arrivano impreparate alla esperienza del lager.

Le forme di resistenza e le strategie di sopravvivenza opposte al trattamento nel Lager, sono varie, la più diffusa è la speranza ed il sogno del ritorno, ovvero ad immaginare un immediato futuro in cui la liberazione rappresenta un momento culminate, fondamentale. Proprio questa strategia che per molte significò la volontà e la voglia di sopravvivere all’orrore del presente, si rilevo poi un terribile dramma.

La liberazione fa si che il popolo delle internate e delle deportate almeno visivamente scompare, ma rimangono le profonde ferite.

Nel momento in cui le Internate provano a raccontare a relazionarsi emergono tutte le difficoltà e tutte le incomprensioni di chi non ha passato l’esperienza del lager.  Le donne, per lo più giovani, perché le più anziane non potevano sopravvivere e quindi non sono tornate, erano state catturate da uomini ed internate da uomini: il corto circuito tra internamento femminile e stupro è quasi inevitabile; non si vuole nemmeno approfondire se vi furono cedimenti ti o complicità nella violenza, e tutto rimane a livello di sospetti, sottintesi e tutta la vicenda sprofonda in forme di disconoscimento. Quando poi usciranno libri come “la case delle bambole”  e film anche di un ceto valore, come il “portiere di notte” l’eterno dolore femminile del lager sarà esposto ad una nuova esacerbazione. Mentre per l’uomo uscito dal lager incide il pensiero “perché proprio io sono sopravissuto” e non l’amico, il conoscente o la persona sconosciuta, alimentando sensi di colpa infinti, nella donna oltre a questo, impalpabile aleggia la mai detta accusa “ tu sei sopravissuta perché sei andata a letto con un tedesco”, alimentando ancora più devastanti sensi di colpa e sposso impossibilitando una ricostruzione psichica e morale.

A questa incomprensione generalizzate volta all’Internamento[1] si deve le particolari resistenze che le Internate hanno affrontato per relazionarsi con chi è rimasto. Prime fra tutte le Internate per motivi politici. Le accuse nei loro confronti sono pesanti e contraddittorie: da una parte, anche se velatamente, si rimprovera loro di essersi andate a cercare i guai, interessandosi di guerra e politica, cose che da sempre sono di stretta pertinenza degli uomini. Se la scelta di andare a combattere e di opporsi è fatta al seguito di un uomo,sia esso padre, fratello, marito, amante, amico si rimprovera loro di non essere state autonome nella scelta; se invece si è scelto autonomamente di opporsi ai tedeschi, subendo il lager, allora si rimprovera di aver lasciato ed abbandonato i compiti femminili.  

Il reinserimento nella vita lasciata, al ritorno, il momento tanto sognato, è spesso fonte diu ulteriori traumi: chi è stato deportato, internato al ritorno non riconosce i luoghi lasciati, le persone, sia materialmente che psicologicamente; chi vede ritornare il suo caro non lo riconosce per come si presenta nel fisico e nella mente, troppo devastante è stata l’esperienza. Da qui quel lento avvicinarsi l’un l’altro che solo a prezzo di ulteriori sacrifici darà risultati.

Come se tutto questo non bastasse, ci si è messo il nostro Stato a rendere difficile la comprensione del dramma delle Internate. La nostra esterofilia, unanimemente riconosciuta, si ferma solo alla coca cola, a vezzi di mode, canzonette ed altre sciocchezze simili, mentre non si estende a iniziative serie come quelle messe in atto dalla maggioranza degli Stati civili per  l’accoglimento ed il sostegno a chi subì il trauma non solo della prigionia ma dell’internamento in Germania. Il nostro Stato non ha disposto nessun tipo di assistenza medica per chi è ritornato, ne centri di cura e di osservazione riservati a chi ha subito l’esperienza del Lager, soprattutto se donna. Un vitalizia tardivo è stato accordato negli anni ottanta, grazie alla attività della ANED, ma dopo battaglie. Ma ancor più è da sottolineare che per le Internate Politiche vi fu anche la triste esperienza della corresponsione della  Pensione di Guerra. Che per ottenere la quale si doveva passare la visita presso gli Ospedali Militari, attraverso le cosiddette C.M.O. Commissioni Mediche Ospedaliere. Esperienze allucinanti“.. e ti spogliavano con gli uomini, fra militari che entravano ed uscivano. Mi dissero che ero idonea a tutti i servizi e mi risero dietro…[1]  E di queste esperienze se ne possono citare una lunga lista, tanto che molte rinunciarono a passare attraverso queste nuove gogne per ottenere una pensione di guerra. E vi rinunciarono per ritirarsi di fronte ad una pratica per cui il Lager, nella propria terra ed ad opera, trova prosecuzione.

Molte altre le paure e le incomprensioni del ritorno, da quella di sapere se si potevano meno avere figli e se si, se questi erano sani, nella riserva mentale di essere state inconsapevolmente soggette attraverso la nutrizione a sistemi di sterilizzazione, a quella che l’impronta di queste piaghe si trasmette alle nuove generazioni, soprattutto per via inconscia ed ad altre ancora.

Questa esperienza non può rimanere, come tutta l’esperienza del lager in Germania, confinata alla generazione che l’ha subita. Anche l’esperienza dell’Internamento al femminile deve essere posta alla attenzione delle generazioni presenti. E posta oltre che come memoria e di rispetto per chi ha subito tanto male, come elemento per guidare ed affrontare il presente, per prevenire e per correggere i mali che la nostra società genera a piè sospinto. L’esperienza del lager al femminile in Germana deve essere più approfondita nel filone di comprendere come un essere “debole” inteso non come “essere donna”, o “femminile” o debolezza morale, ma debolezza di chi, come scrive Anna Maria Buzzone, è debole di fronte alla brutalità dei perdenti è da sempre perdente e proprio per questo, nel fallimento umano di tutti i programmi che poggiano sulla potenza, ha in sé risorse non ancora utilizzate di liberazione e di salvezza.



[1] Testimonianza di Lina Barboncini in L. Beccarla Rolfi e A.M. Buzzone  Le Donne di Ravensbruck, ……pag. 280.



[1] Sulla complessa questione della realtà dei bordelli in molti lager, della possibilità che molte internate abbiamo avuto traumi sessuali, e della conseguente voglia di rappresentazioni per lo più falsanti di questi fenomeni, e soprattutto delle fantasia che il tema scatena anche in certe componenti della cinematografia e della comunicazione in genere, vds: Anna Maria Buzzone, I Ritorni delle donne, in  Il Ritorno dal lager, ( a cura di Pietro Vaenti, Società Editrice Il Ponte Vecchi, Cesena, 1995. Nella nota 32 vi è un ampia bibliografia riferita a questo specifico argomento.

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