di Osvaldo Biribicchi
Maria, Leda,
nomi di battaglia di Lucia Ottobrini, Medaglia d'Argento al Valor Militare, la
prima gappista italiana che, sistematicamente, a partire dal 9 settembre
1943, ha condotto azioni individuali e di gruppo contro i nazifascisti. È
una delle quattro ragazze, assieme a Carla Capponi, Marisa Musu e Maria Teresa
Regard, dei Gruppi di Azione Patriottica fondati a Roma dopo l'8 settembre
1943. Nel libro L'ordine è già stato eseguito di Alessandro Portelli,
Donzelli Editore, la Ottobrini è citata quattordici volte. Leggendo questo
libro sulla Resistenza romana rimasi subito incuriosito dalla figura di questa
giovanissima combattente, per metà alsaziana e metà romana. La immaginai forte,
determinata, forse anche spietata, di poche parole e, al tempo stesso, generosa
e di grande sensibilità d'animo. Due posizioni contrastanti tra loro. Ma chi
era e chi è questa donna che non riuscivo ad inquadrare perfettamente? Cercai
altri libri, articoli di giornale per conoscerne meglio la storia, la vita. La
svolta c'è stata quando, grazie all'amico Giovanni Cecini, autore del Libro I soldati ebrei di Mussolini edito da Mursia,
ho conosciuto il Professore Mario Fiorentini, classe 1918, insigne matematico,
esponente di spicco della Resistenza romana ed italiana, decorato con tre
Medaglie d’Argento al Valor Militare, tre Croci di Guerra al Merito, la
Medaglia Donovan dell’Office of Strategic Services (USA), la Medaglia
della Special Force (Regno Unito) e, cosa più importante, marito di Lucia
Ottobrini. L’incontro, già di per sé eccezionale, con il Professor Fiorentini
mi ha consentito di conoscere Lucia di persona. Alla travolgente loquacità di
Mario, fonte inesauribile di aneddoti e storie legate al suo passato di
combattente, affascinante affabulatore che, con incredibile disinvoltura, passa
da argomentazioni matematiche a temi legati alla cultura, all'arte, al teatro,
all'impegno sociale, fa da contrappunto la austera riservatezza di Lucia. Lei,
cattolica convinta, tollerante verso le altri fedi religiose, non ama parlare
del suo passato in generale né, tanto meno, di quel tragico periodo che va
dall'8 settembre 1943 al 15 giugno 1944 in cui fu protagonista prima della
guerriglia urbana a Roma poi, dopo la nota azione di Via Rasella, della guerra
partigiana in montagna, nel settore Tiburtino.
Lucia, seconda
di nove figli, nasce nel 1924 a Roma ove vi rimane fino all'età di cinque mesi,
ossia fino al momento in cui i suoi genitori decidono di trasferirsi in
Francia, a Mulhouse, una ricca e laboriosa città dell'Alsazia meridionale, a
ridosso delle frontiere con la Svizzera e la Germania, dove i bisnonni materni
erano emigrati alla fine dell'Ottocento ed avviato una solida attività
commerciale. Mulhouse è una città a vocazione industriale e mineraria che,
negli alterni passaggi di mano, dopo la Grande Guerra era tornata a far parte
della Francia. È in questa città, ove convivono sfruttati e mal pagati minatori
ed operai italiani, polacchi, cecoslovacchi e francesi, che Lucia cresce e si
forma, ove acquisisce quella coscienza sociale, quella sensibilità verso gli
emarginati verso i più deboli che non l'abbandoneranno più e andranno a formare
la base su cui poggerà il suo successivo impegno politico, la sua lotta armata
contro il nazifascismo, contro le ingiustizie. La famiglia di Lucia,
comprendendo in questo termine anche i tanti cugini e zii, è bella e numerosa.
Tutti si vogliono bene e, soprattutto, sono molto uniti fra loro e con la
comunità italiana di Mulhouse. Una vecchia foto di famiglia, in bianco e nero,
scattata in occasione di un matrimonio, li ritrae tutti insieme, vicini,
stretti. Nell'osservare la foto, si rimane affascinati, oltre che dal
ragguardevole numero di componenti di questa famiglia, dai volti sereni delle
persone, dagli sguardi fieri. Tutti, grandi e piccoli, eleganti nei loro abiti,
sono caratterizzati dalla compostezza di portamento, segno esteriore di una agiatezza
raggiunta attraverso non pochi sacrifici ed un duro ed intelligente lavoro.
Ebbene, con l'occupazione della Francia, nel 1940, da parte dei tedeschi,
questa famiglia viene direttamente e tragicamente colpita, spezzata dai
nazisti. Alcuni parenti ebrei vengono brutalmente prelevati nelle loro case,
deportati e gasati ad Auschwitz. Idealmente, è come se quella foto in bianco e
nero venisse stracciata.
Per Lucia è un
colpo particolarmente duro che le fa crescere dentro una rabbia sorda, profonda
verso ogni forma di prepotenza, di arroganza, di ingiustizia. A seguito di
questi eventi, Lucia ed i suoi fanno ritorno a Roma, in una casa assegnata loro
dallo Stato nel periferico e povero quartiere di Primavalle.
È un periodo di
grande avvilimento. I genitori vanno alla ricerca di un lavoro, lei è assunta
come operaia alla Zecca dello Stato. L'avvicinamento all'antifascismo avviene
attraverso la conoscenza, nella primavera del 1943, del giovane Mario
Fiorentini di famiglia ebrea piccolo-borghese. Fiorentini è in contatto con gli
ambienti culturali ed artistici della città. È in amicizia con scrittori come
Ugo Betti, Giorgio Caproni, Francesco Jovine, Sibilla Aleramo, Sandro Penna e
Vasco Pratolini; con pittori come Vedova, Turcato, Guttuso, Purificato. Conosce
registi, quali Squarzina, Lizzani, Gerardo Guerrieri, Vito Pandolfi, Mario
Landi ed attori di teatro e cinema come Gassman, Lea Padovani, Nora Ricci,
Caprioli e Bonucci. L'intesa fra i due giovani è immediata, naturale; si
completano a vicenda. Lucia, educata e cresciuta in un ambiente sociale
avanzato, multireligioso; che parla correntemente, oltre all'italiano, il
francese ed il tedesco; che considera la Francia, messa in ginocchio dai
nazisti ed aggredita dall'Italia, la sua seconda patria; che ha avuto nella sua
numerosa famiglia dei parenti ebrei deportati e gasati ad Auschwitz; lei
alsaziana proveniente da una realtà che l'ha portata a conoscenza, ancor prima
degli stessi ebrei piccolo-borghesi romani, delle spaventose realtà dei campi
di sterminio nazisti, accoglie con estrema naturalezza i principi antifascisti.
Nella prima metà del 1943 frequenta, insieme a Mario Fiorentini, gli ambienti
culturali ed artistici di Roma e partecipa alle prime azioni politiche: comizi
lampo e manifestazioni di protesta. Il primo incarico politico, affidatogli da
Laura Lombardo Radice, consiste nella raccolta di indumenti, medicine e cibo
per i prigionieri politici. Nello stesso periodo, Mario entra in contatto con
gli antifascisti di “Giustizia e Libertà”, di ispirazione democratica e
repubblicana. Ed è nelle file di questo movimento politico, dal carattere
popolare ed interpartitico, che, dopo la caduta del Fascismo nell'agosto del
1943, Lucia, Mario e Franco di Lernia, guidati da Fernando Norma, partecipano
agli Arditi del Popolo. All'appuntamento dell'8 settembre 1943, quando i
tedeschi occupano Roma, Lucia arriva dunque preparata: politicamente,
spiritualmente e militarmente. Lei, rispetto a Mario, che in seguito sarebbe
diventato suo marito, il compagno affettuoso della sua vita, agli altri giovani
intellettuali, ai suoi coetanei è politicamente in vantaggio per il semplice
motivo che ha conosciuto prima di loro, in Alsazia, la brutalità dei nazisti.
La Ottobrini, fortemente ideologizzata e con un bagaglio di sofferenze anche
più pesante e tragico di quello di Mario, che pure aveva subito le leggi
razziali, che aveva visto, il 16 ottobre 1943, portar via brutalmente dai
nazisti i suoi genitori i quali solo fortunosamente erano riusciti ad evitare
la deportazione ad Auschwitz, non esita nemmeno un istante a scendere in campo
contro gli occupanti. Il 10 settembre, dopo che si erano spenti i furiosi
combattimenti iniziati la notte dell'8 con l'attacco dei paracadutisti tedeschi
alle postazioni del I Reggimento Granatieri nei pressi del ponte della Magliana
e proseguiti a Porta San Paolo, Lucia e Mario sono in via del Tritone,
all'angolo di via Zucchelli, ad osservare muti ed angosciati il transito dei
carri armati e delle truppe tedesche di occupazione. Lo sfilamento non è ancora
terminato che Mario prende Lucia per un braccio ed esclama “nous sommes dans
un cul-de-sac”. Subito dopo, vanno alla Pineta Sacchetti, al Flaminio, a
Monteverde a raccogliere le armi abbandonate nelle caserme, soprattutto bombe
ed esplosivi. In questa particolare e concitata ricerca, gli iniziatori
della guerriglia urbana sono guidati da un Ufficiale dell'Esercito, il
Tenente Prat. Ai primi di
ottobre del 1943 è, insieme a Mario Fiorentini, tra i fondatori dei Gruppi
Armati Patriottici Centrali i quali hanno lo scopo di indebolire il potenziale
bellico nazista a Roma ed impedire che la “Città Aperta” venga utilizzata per
il transito delle colonne di rifornimenti dirette al fronte. I GAP romani sono
quattro, divisi in otto zone che coprivano l'intero perimetro urbano; ognuna di
esse ha un comandante militare, un commissario politico ed un responsabile
organizzativo.
La Ottobrini partecipa alle più
importanti ed audaci azioni militari dei GAP romani. Fra le più importanti e
conosciute, senza contare i ripetuti improvvisi attacchi a colpi di bombe agli
automezzi e carri armati tedeschi in sosta ed in transito per il fronte, quella
del 4 marzo 1944 davanti alla caserma dell'81° Reggimento di fanteria in via
Giulio Cesare, per ottenere la liberazione dei civili arrestati; l'attacco, il
10 marzo, al Battaglione “Onore e Combattimento” della Guardia Nazionale
Repubblicana in via Tomacelli; l'attacco in via Rasella, il 23 marzo
1943, alla Compagnia del Reggimento di Polizia SS “Bozen”, formato da
altoatesini che avevano optato per la cittadinanza tedesca. Questa azione è
pianificata da Fiorentini, fondatore e comandante del Gap Centrale Antonio
Gramsci.
L'attacco, fulmineo, portato a termine da diciassette gappisti,
fra cui la Ottobrini e la Capponi, comandati da Carlo Salinari, provoca la
morte di trentatre tedeschi, ventotto sul colpo e cinque in ospedale a causa
delle gravissime ferite riportate. Un centinaio i feriti. Nessun gappista,
invece, rimane ucciso o ferito; nessuno viene catturato. In via Rasella si
svolge una vera e propria battaglia. Dopo aver fatto esplodere l'ordigno al
passaggio dei militari, i gappisti attaccano a colpi di bombe e d'arma da fuoco
i tedeschi, ingaggiano con questi una violentissima sparatoria. Ogni SS ha cinque o sei bombe a mano appese alla
cintola. Anche queste scoppiano e contribuiscono ad accrescere il numero delle
vittime. La compagnia SS viene praticamente annientata da un manipolo di
guerriglieri che, dopo l'azione, svanisce nel nulla. I tedeschi sono furibondi,
dal punto di vista militare il durissimo attacco subito, peraltro nel cuore di
Roma, è uno smacco umiliante mai accaduto prima nelle città dell'Europa occupata.
Il giorno dopo segue la fulminea tremenda rappresaglia tedesca alle Fosse
Ardeatine, ove vengono trucidate 335 persone di età compresa fra i 14 ed i 75
anni. Dopo l'azione di via Rasella, “Maria” e “Giovanni”,
ricercati dai nazisti, vengono inviati dalla giunta militare del CLN a dirigere
le operazioni nella zona di Tivoli e Castelmadama. Intanto, a pochi chilometri da Roma, ad
Anzio, gli Alleati sbarcati due mesi prima, alle prime luci del 22 gennaio
1944, sono ancora li, inchiodati dai tedeschi. I romani che aspettavano da un
momento all'altro l'ingresso degli anglo-americani in città avrebbero dovuto
aspettare sino alla domenica del 4 giugno.
Di quel periodo, Lucia ricorda, con
il dolore nel cuore, i terribili devastanti bombardamenti americani che si
abbattevano quotidianamente sulla povera gente, quella stessa gente che l'8
settembre 1943 aveva festeggiato l'armistizio come la fine di un periodo buio,
che aveva visto in quell'armistizio il ritorno a casa di figli e mariti dai
lontani fronti di guerra e guardato con ottimismo all'immediato futuro. Lei non
comprendeva il senso di quelle devastazioni che colpivano duramente più la
popolazione che i tedeschi. Tivoli fu quasi interamente rasa al suolo, case ed
ospedali distrutti. Dopo quei bombardamenti, viene inviata sulle alture di
Castel Madama per dirigere un nucleo partigiano al quale è affidato il compito,
fra gli altri, di preservare una centrale idroelettrica che i tedeschi
intendono far saltare. "Niente di particolarmente eroico",
afferma in una intervista, "eravamo gente costretta a lottare e non
guerrieri in cerca di gloria".
Sempre di questo periodo, il Professor
Fiorentini ama raccontare la pietà di Lucia sia nei confronti dei civili,
stremati dai continui, quanto inutili, bombardamenti anglo-americani, che dei
tedeschi. A questo riguardo, racconta di quando Lucia, con il cuore straziato,
vide una colonna di giovanissimi soldati germanici che, provati dai durissimi
combattimenti, stanchi ma orgogliosi, cantavano “Andiamo a casa dove staremo
bene”. Nell'ascoltare questa struggente canzone, la gappista alsaziana che
capiva il tedesco scoppiò a piangere. In questo episodio è, forse, racchiusa la
complessa e profonda personalità di
Lucia Ottobrini.
Sulla sua scelta politica e militare
di combattere il nazifascismo, ha dichiarato: “La principale motivazione
della mia scelta antifascista fu sicuramente l'entrata in guerra contro la
Francia, la mia seconda patria, l'infamia di un'aggressione contro un Paese che
era stato già piegato dai tedeschi. Poi le leggi razziali. Molta gente, specie
nel "popolino", aveva creduto in una matrice proletaria del fascismo
e in una certa propensione ad occuparsi della povera gente e questo spiega il
consenso di massa che il fascismo, e il fascino personale di Mussolini, avevano
conseguito. Con i fallimenti della campagna di Grecia e di Russia, si capì
subito però che la guerra non sarebbe stata la passeggiata imprudentemente
promessa. Fu il fatto di aver passato la prima parte della mia esistenza in un
ambiente proletario e i miei trascorsi in Francia, che fecero maturare in me la
coscienza di stare dalla parte degli operai e del popolo”.
Nel 1953 le
è stata assegnata la medaglia d'Argento al Valore Militare con la seguente
motivazione:
"Ottobrini Lucia di Francesco e di Domenica De Nicola,
Roma, classe, 1924, partigiana combattente. Giovane e ardimentosa partigiana,
dava alla causa della Resistenza a Roma e nel Lazio, apporto entusiastico e
infaticabile. Raccoglieva e trasportava armi, procurava notizie, contribuiva
validamente alla organizzazione di numerosi atti di sabotaggio. Con coraggio
virile non esitava ad impugnare le armi battendosi più volte a fianco dei
compagni di lotta, sempre dando esempio di impareggiabile ardimento e facendosi
ricordare tra le figure rappresentative della Resistenza romana. Zona di Roma,
settembre 1943- giugno 1944)".
Ad oltre
sessantacinque anni di distanza da quei dolorosi giorni in cui tutti, uomini e
donne, furono chiamati a delle scelte difficili e drammatiche, in Lucia rimane
un profondo senso di umanità. Un senso di pena per tutte le vittime di quel
periodo, compresi quei giovani tedeschi, di cui parlava la lingua, che con la
paura nel cuore cantavano “A casa, a casa, che li staremo meglio”.
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