LA CRISI ARMISTIZIALE DEL 1943
Il piano Asche ebbe contrasti e nel corso delle
operazioni si manifestò anche una certa resistenza all’azione tedesca da parte
di Comandanti italiani più risoluti. In virtù di questa reazione il Comandi
supremo della Wehrmacht alla sera del 9 settembre 1943 decise di emanare
disposizioni che assunsero i contorni
della criminalità e della violazione di ogni diritto ed uso di guerra. Il
messaggio, inviato al Comandante Superiore Ovest, al Comandante Superiore Sud,
al Gruppo di Armate B, ed al Comandante Superiore Sud-Est prescriveva
“ In
quelle località dove truppe italiane o altri armati oppongono ancora
resistenza, si deve porre loro un ultimatum a breve scadenza, chiarendo che i
comandanti italiani responsabili della resistenza stessa saranno fucilati come
franchi tiratori se, entro il termine stabilito, non avranno ordinato alle
proprie truppe di consegnare le armi alle unità tedesche”[1]
Come era da prevedere questo ordine fu
eseguito ed ebbe conseguenze veramente cruente, in special modo nel Balcani,
nelle isole greche, ovvero Cefalonia e nella zona sotto comando del maresciallo
Kesserling. L’attuazione di questo ordine fu più mitigata nella zona del gruppo
Armate B, ovvero nel nord Italia
[1]
Schreiber, G., I militari italiani
internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945, Roma.
Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, 1993. Pag.
139. Secono Schreiber questo ordine è un ordine “criminale”
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