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martedì 6 dicembre 2011

Albania Il Caso Terrusi 1

Elsa Demo

Il caso Terrusi e le ottave dei crimini del comunismo

La discussione pubblica che ha aperto Aldo Renato Terrusi, autore del libro "Ritorno al paese delle aquile", è una buona opportunità per l'Istituto degli Studi sui crimini e sulle conseguenze del comunismo.

Nonostante i discorsi euforici che si sono tenuti ieri, presso la Biblioteca Nazionale di Tirana, durante la presentazione del libro di Terrusi, c’è stato anche un risultato concreto. Grazie alle ricerche da parte dell'Istituto, Aldo Terrusi ha le prove che portarono in prigione suo padre, Giuseppe Terrusi, direttore della banca di Valona fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

A parole, si diceva che lo specialista italiano si accusava di furto di proprietà del popolo albanese. E ora il figlio Terrusi, ha in mano i documenti del processo, senza un avvocato, del 1945. Si tratta di un complesso di emozioni contrastanti non provati prima. Da un lato c'è la rabbia che suo padre è stato portato alla morte mediante un processo falso, d'altra parte un sollievo, la possibilità di richiedere la riabilitazione della figura di Giuseppe Terrusi, rinchiuso nella famigerata prigione della morte, senza prove di colpevolezza.

In questo modo Aldo Terrusi lascia lì, al suo posto, quella storia delle dietro le quinte, per la quale, se non ci fosse stata una storia d’amore, sarebbe: la vendetta di Enver Hoxha verso una bella italiana, vicina di casa, nella città di Argirocastro degli anni 1920-1930.

Questo ha raccontato ieri l’accademico Kolec Topalli, rappresentane dell'Istituto degli Studi sulla criminalità e le conseguenze del comunismo: un dittatore crudele con le donne che l’avevano rifiutato, un "paranoico falco" che non dimenticava lanciare  la rabbia verso le belle ed intelligenti donne come Sabiha Kasimati, Musine Kokalari e "chi sa quante altre".

L’ottava del Dott. Pjeter Pepa, che ha parlato ieri a nome dell'Istituto, arriva qui: "Anche se con latte nutrisci il serpente, lui sputa lo stesso il veleno: così il dittatore Enver Hoxha aumenterebbe la vergogna albanese con il martire italiano morto nel carcere di Burrel il 2 marzo 1952, all’età di 52 anni. I dittatori pensano di scrivere la storia. Ma la storia si fa. A noi non rimane che scriverla, anzi, solo se siamo onesti e capaci, di scriverla correttamente. Questo dimostra il 'Ritorno nel paese delle Aquile".

Il Dott. Pjeter Pepa, autore del "Dossier di dittatura" in due volumi, ha proposto in questo modo i termini "martiri" e "martiri della democrazia”, usati anche per i cleri condannati e giustiziati dalla dittatura: "E i loro nomi saranno messi sul piedistallo che meritano, in quello dei martiri della democrazia".

Nelle parole di un altro rappresentante dell'Istituto, Dott. Agron Tufa, si prende in considerazione il modo di agire della dittatura verso gli stranieri e verso le donne in particolare. Tufa ha ricordato il caso del geologo polacco Stanislav Zuber,  condannato a morte nel 1947, recentemente decorato dal Presidente della Repubblica con il Premio "Madre Teresa". Lui ha sostenuto che l'Istituto non possiede ancora dati precisi sugli stranieri che sono stati condannati, ma esistono prove sul destino delle donne straniere che hanno subito violenze ideate ed  "oscene", come lo stupro di massa,  per poter rompere ogni tipo di resistenza. "Per questi aspetti vergognosi bisogna parlare apertamente e con i fatti se vogliamo distanziarsi da tali crimini che affliggono noi… Le loro tragedie ci fanno vergognare di essere albanesi perché lo stato comunista è stato comportato  con la stessa assurdità come con i cittadini albanesi", dice Tufa. Tufa ha annunciato altresì che il libro "Ritorno al paese delle aquile" di Aldo Renato Terrusit  presto sarà pubblicato anche in albanese. L'Istituto propone la pubblicazione di una colonna sui sopravissuti della violenza comunista.

E 'stato un lungo incontro quello con Aldo Renato Terrusi, un uomo timido, ma molo attento alle informazioni che portavano i partecipanti. Il suo intervento è stato concluso con la presentazione di una raccolta fotografica di famiglia Terrusi -  Poselli ed una descrizione scioccante che arrivava dalle foto scattate nell’Albania del 1993.

Segue la sua intervista per il giornale "Shekulli".
 
 Intervista con Aldo Renato Terrusi
Sua madre una bella donna, suo padre direttore della banca, suo zio portiere della nazionale di un paese straniero. Fin qui è tutto fantastico, ma la storia rimane a metà, solo fumo. Sig. Terrusi, con solo queste parole, Lei ha creato già il trama di un  film.
L’ho sempre detto. Questa è una storia vera che assomiglia a un romanzo. Sì, esiste veramente un progetto cinematografico con sceneggiatore e regista albanese.
Non posso dire di più.

Questa storia è stata trattata oggi da vari punti di pista. E 'stato detto che Sua madre è andata al  Comitato Centrale per chiedere l'amnistia per suo marito?
Aurelia è andata al Comitato Centrale per incontrare Enver Hoxha e chiedergli l’amnistia per mio padre. Tutto è avvenuto tra l'anno 1948-1949. Enver Hoxha ha preferito non riceverla perché avrebbe detto no comunque. Ha scelto di non incontrarla con le scuse di un'altra persona che chiedeva a questa donna altre cose in cambio dell’appuntamento con il Capo.
 
Si è parlato molto dell’opposizione di Aurelia Poselli verso Enver Hoxha, come causa della punizione di Suo padre. Lei è convinto di questo?
No, la punizione di Giuseppe Terrusi non è successo per questo motivo. Ma importante è il fatto che Enver Hoxha non ha voluto intervenire e credo che quell’unica persona che ha accusato mio padre a Valona è stato imposto.

Chi era questa persona?
Vuole il nome?

 Siccome Lei ha visto le prove utilizzate contro Suo padre in un processo senza un avvocato, possiamo conoscerle anche  noi?
Si tratta di documenti originali trovati dall’Istituto degli Studi sui Crimini e le Conseguenze del Comunismo. La può leggere, perché la lettera è in albanese e in  italiano. Qui c’è il nome, Muharrem, il quale testimonia che Giuseppe Terrusi è stato un fascista fermo e come tale è stato inviato in servizio dall’Italia in Albania, a favore dell’organizzazione fascista: Come direttore della Banca lui ha offerto, all'esercito nazista che si stava allontanando dall’Albania, dei soldi per non consegnarli all'esercito albanese ...
 
Allora, questa è l’accusa che condannò Terrusi, furto del patrimonio del popolo?
Sì, invece la terza accusa fu: "Dopo la liberazione dell’Albania, il soprannominato ha organizzato vari incontri con altri compagni come Arturo Orlandi, sull’invio in Italia occupata dal nazismo, dei soldati italiani parte dell’esercito albanese".
Tutte queste accuse sono false perché mio padre non le ha mai accettate. Qui ci sono tutte le prove, quando lui sostiene che tutto è falso. Poi ci sono le lettere scritte da mio padre prima del processo, quando lui dice: io odio il fascismo, odio i nazisti. Così nelle lettere si dice l'esatto contrario delle accuse.
Queste lettere sono state scritte e spedite, prima del processo, a sua sorella, Chiara, nella nostra casa a Castelaneta.
 
Con questi documenti Lei intende chiedere la riabilitazione della figura di Suo padre?
Sì, esattamente, e, se possibile, trovare anche le ossa di mio padre e portarle in Italia, o magari una manciata di terra in quella tomba dove è stato messo.
 
Lei spera di trovare la tomba?
Veramente io non speravo di trovare neanche i documenti, ma eccoli  qua. Qualcuno li ha trovato. Chissà, forse qualcuno mi aiuterà (alza gli occhi verso il cielo).
 
Mancava in questa storia la descrizione del viaggio di rimpatrio nel 1949: dal porto di Valona a Brindisi.
Ricordo poco. Ero molto piccolo per sapere cosa stesse succedendo. Ma ho due immagini precisi in mente. In una ricordo me stesso, appoggiato alla ringhiera della nave, guardando il mare.  Era pulito. C'era una corda sotto l'acqua che sembrava un serpente. Così è rimasta nella mia immaginazione. Nell’altra immagine ci sono le luci della città di Brindisi, qualcosa di fantascientifico, oltre il normale. Ma la brutalità di quei flash ero io, tra le mani di mio zio che mi ha portato in una stanza per essere disinfettato. L’acqua corrente ed il fumo che usciva dalla nave mi davano l’impressione di entrare nell’inferno.

Ha portato via  gli oggetti di Suo padre?
Gli oggetti presi sono le fotografie e la sua penna.

Quando è morta Aurelia?
Nel 2000.

In questa ricerca ha trovato altre storie di altri italiani sfortunati?
Abbiamo avuto informazioni circa tre o quattro italiani che hanno avuto problemi. Ma io ero troppo piccolo, a quel tempo, per mettermi in contatto con loro. E’ da pochi anni che mi sto occupando di questo fatto, per via del lavoro ed anche perché pensavo che con il passar del tempo queste cose svanivano, ma…
 
Adesso che cosa prova?
Devo ammettere che mi sento molto nervoso, sono scioccato, perché quando ho letto  i documenti del processo di mio padre, mi sono infuriato: quanta  falsa fu l’accusa. La testimonianza del 1945, mostra come i sistemi totalitari hanno affrontato la vita delle persone. Nel caso di mio padre, ha appena bastato l’accusa di un uomo ubriaco che ha portato alla morte una persona.
E questo ti fa male, molto male. Invece per quanto riguarda l’amicizia e la cordialità che mi ha circondato in questi miei viaggi, devo dire che mi sono sentito come a casa.
  
La storia e i personaggi:
Aldo Renato Terrusi, un fisico in pensione, è nato a Valona nel 1945, da genitori italiani, Aurelia e Giuseppe Terrusi, direttore della Banca di Valona. A causa del conflitto italo-greco, la famiglia immigrante di Aurelia si trasferì ad Argirocastro.

Intanto Giuseppe Terrusi viene inviato da Castelaneta, sua città natale,  in Albania, come vice direttore della Banca d'Italia ad Argirocastro nel 1930 e poi direttore della Banca italiano-albanese a Valona, filiale della Banca Nazionale d'Albania.
Giuseppe e Aurelia si conoscono e si sposano subito nel 1936. Nel 1945 nasca Aldo, loro figlio. Durante il turbolente periodo del dopo guerra, con arresti e condanne dei "nemici del popolo", si rinchiude in prigione anche Giuseppe Terrosi "per ordine di Enver Hoxha". Giacomo, il fratello della madre Aurelia, era il portiere della nazionale albanese che nel 946 vince "Le Olimpiadi dei Balcani" Nel 1949, dopo molte vicende, le famiglie Poselli e Terrusi vengono rimpatriate. Giuseppe muore in prigione, a Burrel, nel 1952. Il Figlio, Aldo Renato Terrosi, insieme allo zio, ritorna in Albania nel 1993 per trovare le ossa di suo padre. Dalle testimonianze di altri detenuti, Angelo Kokoshi e Petrit Velaj, Aldo costruisce la storia della vita di suo padre rimasto per sempre in Albania.

 Dedica di Enver Hoxha ad Aurelia
Terrusi ha mostrato ieri l'unico documento che prova una relazione della madre Aurelia Terrusi con Enver Hoxha: "Sono stati  vicini di casa ad Argirocastro. Da mia madre ho avuto solo questa definizione: era un tipo simpatico, affascinante, ma forse con un carattere molto forte. L'unica cosa che ha avuto da lui fu: "Cent Vue de Paris" con la dedica di Enver Hoxha del 1930. Enver inviava ad Aurelia  messaggi scritti attraverso sua sorellina. Ma io non ho alcuna prova, perché mia madre ha strapatto tutto. Non sono stati messaggi d'amore, ma richieste di appuntamenti. Mi è stato detto che Enver Hoxha ha voluto mettersi in relazione con mia madre e quando tornò da Parigi, con le sue idee comuniste, mia madre rifiutò. A quel tempo Enver aveva 22 anni  e lei 17.
Quando le idee politiche erano forti in lui, non c’era più motivo di stare insieme.
Mia madre non si è mai sposata. E 'stata una donna molto bella, ma il suo amore per Giuseppe era assoluto. Per lei era un ideale".

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