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martedì 6 dicembre 2011

Albania Il Caso Terrusi 4

Giuseppe Terrusi ancora, dopo 50 anni, non ha avuto quello che gli appartiene

“Alcuni di loro si sono fisicamente alzati in piedi; molti di più, nonostante la selvaggia, dura e lunga dittatura, “si sono alzati in piedi” dopo la morte, e il loro onore calpestato e la loro dignità disprezzata, anche se tardi, hanno trovato il posto che meritano, quello dei martiri della democrazia. Giuseppe Terrusi è venuto con onore e dignità a versare il suo sudore qui, ad offrire i frutti della sua conoscenza, a prestare il suo lavoro per il bene del progresso del paese e del vicino popolo albanese, ma ha trovato un dittatore mostro che lo ha ricompensato con l’arresto, le torture , le sparatorie e le prigioni. Il caso di Terrusi conferma un’altra dolorosa sentenza: “Anche se dai del latte al serpente, questo sputa solo veleno”. Purtroppo questo veleno è un serpente pericoloso come il dittatore Hoxha, che il 2 marzo 1952 aggiunge alla vergogna albanese anche il martire italiano del carcere di Burrel Giuseppe Terrusi. I dittatori credono di fare la storia, ma la storia si fa. A noi resta solo il compito di scriverla, anzi, se siamo onesti e capaci, di scriverla giusta. Questo ci dimostra benissimo il libro in questione, "Ritorno al Paese delle Aquile", che mette in luce la verità circa cinque decenni dopo il verificarsi dell'evento, dando quello che spetta al martire per l’ingiustizia del suo martirio ma anche al dittatore per l’infamia della sua dittatura.

Senza dubbio, in questo caso, parte del sacrificio è la famiglia stessa, la moglie che si separa per sempre dal marito e il figlio che cresce orfano con un padre vivo in un paese straniero, e poi sepolto da qualche parte nei pressi di un ciliegio, in una città straniera e lontana di nome Burrel.

Pertanto la famiglia, la moglie che non vive più, il bambino che dopo 50 anni ormai uomo viene a cercare i resti di suo padre, hanno lo stesso diritto di essere onorati e fieramente partecipi di quell’onore che spetta al nobile martire di Burrel Giuseppe Terrusi. La morale storica e universale, che viene dalla filosofia di questo semplice libro, è: “Guai a coloro che vengono catturati dagli istinti animali e cercano con ogni mezzo la falsa gloria. Beati coloro che sono nati e vivono, lavorano e muoiono come persone normali”. Tale è il nostro martire italiano del famigerato carcere di Burrel, che ricordiamo oggi in occasione della presentazione di questo libro semplice ma piacevole, di questo libro triste pubblicato dal figlio Aldo Renato Terrusi, che ha conosciuto e mantenuto vivo nei ricordi il padre solo attraverso fotografie e testimonianze dato che ne è stato separato a 4 anni. Egli oggi diventa anche per noi simbolo di un’altra nobile morale. Beati coloro che rispettano i loro genitori, i loro parenti, beato si deve sentire oggi anche Aldo Renato, l'autore di questo libro, che dedica al padre, al martire che dall'Italia è venuto a morire nella vicina terra albanese. Ma ancora oggi dopo 50 anni, non si sente tranquillo .. “Ogni bambino che nasce merita una culla, ogni uomo che muore merita una tomba” .. e suo padre non ha ancora preso la sua rivincita, quella che appartiene ad ogni uomo di questo mondo. Egli non ha una tomba, e Aldo vuole portare un mazzo di fiori, ma non sa dove.

Sotto i rami del ciliegio tutto è cambiato; la tomba del padre non c’è più perché le sue ossa non si trovano. E lui non sarà sereno finché non le avrà trovate, finché non avrà una tomba su cui portare un mazzo di fiori e finché non le avrà ricongiunte con le ossa di sua madre.
“Il compito di seppellirlo toccò a me e ad altri tre detenuti, forse perché eravamo i più giovani o forse perché eravamo stati i più cattivi. Abbiamo avvolto il cadavere in un lenzuolo e abbiamo scavato una fossa vicino a un ciliegio, fra le due recinzioni del carcere. Erano i primi giorni di marzo. C’era la brina, faceva molto freddo e il terreno era duro come un sasso, perciò faticammo molto per scavare. Avevamo le mani congelate. Mentre svolgevamo questo triste compito, le guardie ci deridevano e ci insultavano, ricordandoci che presto sarebbe toccato anche a noi. Quelle guardie non ci sono più ma io sono ancora qui! Vi dirò di più, so per certo che due delle guardie di allora sono state uccise durante il regime di Enver Hoxha, ma gli assassini non furono mai trovati ..”
Parte dell’intervento del Dott. Pjetër Pepa

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